Ora Upon a Time in Hollywood

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Se non è stata la prima dell’anno poco ci manca.
Per la presentazione di Once Upon a Time in Hollywood la città del cinema si è scatenata. Chiusa Hollywood boulevard, elicotteri, centinaia di agenti e sicurezza ai massimi per un evento secondo solo alla sera degli Oscar in onore del probabile film dell’anno (ignorato dalla giuria di Cannes).

Britney Spears è sul viale del tramonto, mentre il suo ex Sam Ashgari è in splendida forma, resuscitato dall’oblio grazie a Britney che lo scelto come cavaliere

Britney Spears è sul viale del tramonto, mentre il suo ex Sam Ashgari è in splendida forma, resuscitato dall’oblio grazie a Britney che lo scelto come cavaliere

C’erano le star del film naturalmente. Brad Pitt con pizzetto bianco, Margot Robbie, molto bambola, che già guarda alla sua prossima interpretazione, quella di Barbie che “spero sia un modello per le giovanissime” (!), e che, per l’interpretazione di Sharon Tate, meritava più spazio, come giustamente hanno fatto notare a Cannes; Leonardo di Caprio che l’Hollywood Reporter ha chiamato “una franchise di prestigio” (un po’ come un film seriale).

Oltre a decine di celebrità tutte riunite nello storico teatro cinese (quello delle impronte delle mani e dei piedi di Marilyn Monroe e Humphrey Bogart) per omaggiare se stesse e la città dei sogni e del vizio, proprio come con gli Oscar.

Da Bradley Cooper, a Travis Scott, Snoop Dogg, Rob Lowe, John Stamos, Sofia Vergara e Britney Spears (alla prima uscita pubblica dall’ennesima uscita di testa).

L’altra star del film è Quentin Tarantino che, gongolante per il contratto in cui Sony Columbia gli ha concesso anche i diritti di copyright del film (come icone del calibro di George Lucas) e un flusso di cassa senza fine (se il film è un successo), ha deciso di fare da presentatore, senza dire altro e lasciando il palcoscenico agli attori.

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Il messaggio che però Quentin ha portato con il suo nono film (utilizzando il numero nove come pubblicità) è quello del suo attaccamento alla fine degli anni sessanta, un po’ ragazzino ammaliato di Cinema Paradiso, un po’ fumetto noir di un delitto tra i più efferati mai commessi a L.A. rivisitato in chiave Kill Bill.
Tarantino si conferma unico nella sua scelta delle storie da raccontare perché riesce a comunicare in maniera tutta sua l’elemento fumettistico del cinema, a volte esagerandolo in modo però mai orrido, piuttosto quasi ironico, anche quando la violenza fa da padrone.

Once upon a Time in Hollywood, va anche oltre: all’evidente cura maniacale del particolare per far rivivere un periodo storico (persino nella scenografia dell’after party dopo la prima), quello della fine del film di azione ed il passaggio al mondo dei blockbuster (i film con budget a nove cifre), aggiunge una patina di saudade, nostalgia sentimentale del periodo, vissuto ad un’età altrettanto speciale, quella del bambino di meno di dieci anni che scopre il mondo che lo circonda (lo stesso Tarantino alla fine degli anni sessanta).
E ciò rende sia unici i dialoghi, come quelli tra Pitt e Di Caprio e l’agente del secondo, il magistrale Al Pacino, che il finale tragico, fatto apposta per essere applaudito da Hollywood.

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Cosa dirà il pubblico? Lo sapremo venerdì quando la pellicola uscirà in tremilaseicento sale, e dovrà confrontarsi con un blockbuster per famiglie tutto effetti speciali e dialoghi da cartone animato come Re Leone.

A Los Angeles e New York il film sarà un successo, ma nella America dura e pura? Chissà che Tarantino non riesca nel miracolo di far funzionare a Peoria (la città più nella “media” degli USA) ciò che sembra fatto su misura per l’audience delle grandi città.

Glielo auguriamo perché da un lato sarebbe un successo maggiore che vincere a Cannes, dall’altro consacrerebbe il regista italo americano al ruolo di mostro sacro del cinema USA… per cui ringrazierà tutti al momento dell’Oscar.