Sunset de Cannes
Mentre i ricconi in vacanza sulla Riviera pensavano già al Gran Premio di Monaco, e i fan (almeno quelli francesi) ad andare a votare alle europee (affluenza record Oltr’Alpe), Cannes premia (giustamente) la commedia un po’ sadica Parassiti di Bong Jong-ho, e snobba Bellocchio che, con l’interminabile Il Traditore, ci fa pensare che forse i soliti noti e la solita mafia hanno fatto il loro tempo come rappresentazione dell’Italia al Festival con la F maiuscola.
Specie considerando che il senegalese Atlantics ha preso il Grand Prix, ed il francese Les Misérables sulle periferie africane e arabe di Parigi ha portato a casa il Premio della Giuria.
Miglior regista Il Giovane Ahmed dei fratelli Dardenne (ancora tematiche collegate al fallito multiculturalismo europeo), e miglior attore l’inossidabile Antonio Banderas, nella autobiografia di Almodovar Dolore e Gloria.
Tarantino è rimasto a mani vuote con Once Upon a Time in Hollywood ed è un peccato perché Hollywood in formato vintage ci sarebbe stata, almeno a spezzare l’aura malinconica di questo festival segnato da tempo pessimo e da poco entusiasmo a tutti i livelli.
Il trend sul grigio già si vedeva dall’inizio del festival, dal nervosismo del direttore artistico Thierry Fremaux, all’esclusione senza appello di Netflix e dei servizi di streaming a pagamento trattati alla stregua delle video cassette dei tempi che furono (tre anni dalla prima per poter mostrare un film in streaming!), ai party molto low key, alla quasi totale assenza di mega yacht (apparsi però puntuali al Gran Premio di Monaco), e al tempo autunnale che ha perseguitato il Festival durante la sua intera durata (generalmente almeno un weekend di bel tempo Cannes non lo nega a nessuno).
Invece, spiagge vuote e gelo per le attrici con vestiti da tarda primavera alle prime, riscaldate dalle luci della ribalta e dei fotografi anche essi fuori dal tempo, se non come protagonisti delle foto delle star circondate dai flash dei tempi che furono.
E adesso? Hollywood torna oltreoceano malinconica e preoccupata, Tarantino scocciato ancora più che alla conferenza stampa di presentazione del suo quattordicesimo film: tutti si concentreranno sul blocco degli scrittori dopo che il potentissimo sindacato WGA ha chiesto ai suoi iscritti di boicottare le agenzie di talent. Al centro c’è la questione delle spettanze agli agenti per i cosiddetti packaging fees cioè le commissioni per attività di finanziamento collegate ai film o serie televisive da parte delle agenzie con le società di produzione che diventano così titolari di diritti su progetti scritti da loro clienti.
Clienti che, allo stesso tempo, gli agenti rappresentano nelle negoziazioni con le medesime case di produzione. Tutte le grandi agenzie (salvo United Talent Agency, che si è detta disposta a riprendere il negoziato) rifiutano ogni compromesso con la associazione di categoria degli agenti, sottolineando che il packaging rende possibili progetti di film e serie che altrimenti non verrebbero girati e che dunque non vi è alcun conflitto di interesse.
Se la questione non viene risolta a breve si rischia un blocco totale delle attività per mesi, proprio mentre Hollywood stenta a farsi notare e Netflix e company lavorano fuori dai perimetri del sindacato.
Davanti a simili prospettive, questo Festival del cinema d’arte per eccellenza del 2019 sarà presto dimenticato, e pare segnato da un possibile tramonto, tra un’estate che non arriva a L.A. dove mai è piovuto così tanto nel mese di maggio, e un’Europa dalla primavera latitante, sostituita da un autunno dagli alberi verdissimi.
Auguriamoci che dopo una lunga estate calda, Venezia ci riporti nel mondo magico delle star in luoghi bellissimi; ma fino a quando?