I Candidati
In perfetto orario durante un’alba gelida e ventosa ecco i candidati agli Oscar presentati da Kumail Nanjiani e Tracee Ellis Ross, nomi della televisione sconosciuti o quasi in Italia, le cinquine (più gli otto migliori film) di chi uscirà con il premio più ambito di Hollywood il 24 febbraio e vedrà (i più, anche se ci sono i casi di fallimento) la propria carriera cambiare (per i vincitori per la prima volta) o posizionarsi verso l’Olimpo (per i candidati con vittorie multiple alla stessa cerimonia o in tempi diversi).
Per i migliori film poche sorprese dopo che Green Book si è distinto ai Golden Globes e al premio del sindacato produttori (si, esiste il premio sindacato produttori, sindacato attori, sindacato scrittori e sindacato giornalisti- alla faccia degli USA paese del capitalismo!) e Black Panther è il primo film su un super eroe da fumetto che riceve una qualunque nomination non collegata al trucco o agli effetti speciali.
Segue Vice, la storia (nota a chi conosce il mondo politico americano) del vice presidente Dick Cheney che era il “vero” presidente durante gli anni di Bush jr, già vincitore ai Golden Globes.
Che Roma abbia dieci candidature (già dai Golden Globes il favorito e vincitore scontato come film straniero), tra cui miglior film e miglior film straniero, come “La vita è bella” esattamente venti anni fa, (perduto nella memoria dei tempi di Harvey Weinstein re di Hollywood!), fa poco notizia. Invece, questo segna la consacrazione di Netflix a rivale degli Studios, con be quindici nomination di suoi film. Le blasonate Disney e Universal ne hanno diciassette ciascuna, Fox venti se si conta Fox Searchlight la divisine artistica che ha prodotto The Favourite. Paramount si avvia sul viale del tramonto con una sola candidatura, A quiet place per il montaggio sonoro.
Yalizca Aparicio ha meritatamente avuto la candidatura a miglior attrice: la diversità non c’entra perché essendo messicana che vive in Messico è come tutti o quasi nel suo paese, ed in USA forse solo sua figlia o sua nipote avrebbero potuto sperare di essere scelte da un regista anche per caso come le è capitato con Cuaròn.
Seguono Bohemian Rhapsody sulla vita di Freddy Mercury ripulita dagli eccessi per evitare il divieto ai minori di 17 anni, e senza crediti per il regista per lo scandalo sessuale che ha causato il licenziamento di Bryan Singer; BlacKkKlansman di Spike Lee (i Golden Globes insegnano, ma lui non sorriderà neanche se vincesse tutti e quattro gli Oscar per cui è stato candidato! ).
È nata una stella torna in auge, e la storia diretta da Bradley Cooper con la stupefacente Lady Gaga è perfetta perché “il plays in Peoria”, vale a dire fa presa sull’immaginario dell’americano medio della città più nella media delle statistiche (che è Peoria in Illinois).
Ma ce la farà solo Lady Gaga, o anche il belloccio e sempre sorridente Bradly Cooper snobbato dai Golden Globes?
Completa il folto gruppo l’altro grande favorito, The Favourite (appunto) con dieci candidature cinque candidature, di cui due come miglior attrice non protagonista, le due favourite wannabe Emma Stone e Rachel Weisz (chi ha visto il film comprenderà il gioco di parole): gli americani sono comunque anglofili, specie se è un film storico in costume.
First Man è stato escluso con candidature solo nel suono e scenografia: semplicemente troppo noioso.
E i film stranieri? Riecco il libanese Capernaum, il già super candidato Shoplifters dal Giappone. Il lunghissimo Never Look Away che ci riporta nella realtà drammatica della ex DDR tenendoci in sospeso per oltre tre ore come Le vite degli altri dello stesso Florian Henkel. La sorpresa è Guerra Fredda del polacco Pawlikowski che pur se meno inquietante di Never Look Away, darà filo da torcere perché ottiene altre due candidature, per la cinematografia e (prestigiosa) per il miglior regista, e consacra anche Amazon Films. Soprattutto, è più adatto ai membri dell’Academy che ricordano bene i tempi della cortina di ferro. Peccato per il kazako Ayka che descrive la realtà ai più sconosciuta (e taciuta ora e fin dai tempi dell’Unione Sovietica) degli immigrati illegali dell’Asia centrale a Mosca, e che segna tra l’altro la maturazione del cinema di quel paese, che oltre dieci anni fa era solo una pellicola di propaganda del regime con Nomad.
Tra le candidate come migliore attrice la sempre verde Glenn Close (ecco ancora i Golden Globes a tracciare un successo) fa compagnia a Olivia Colman (The Favourite). Va ricordato Viggo Mortensen candidato come miglior attore in Green Book, la storia (tanto improbabile da farci un film) dell’amicizia tra un musicista nero ed un buttafuori italo americano nel Profondo Sud USA gli anni sessanta.
L’Italia degli ex cine panettoni, dei documentari su Gina Lollobrigida girati on spec (abbreviazione per “on speculation” cioè autofinanziati nella speranza che qualcuno poi li compri e promuova), leggi, del Canaro di Dogman, troppo violento per venire da chi ha dato al mondo Paisà e Ladri di Biciclette (quella è l’Italia a Peoria, Illinois) è completamente assente, attanagliata da un blocco artistico, incapace di distinguersi.
E non è questione di governi (il governo polacco non è certo un modello di sostegno all’arte eppure Cold War almeno una statuetta la riceverà), è questione di coltivare e spingere talenti.
Invece nulla.
Un’altra conseguenza del declino italiano cominciato proprio ai tempi di Le Vite Degli Altri.
Il Grande Freddo dell’onda lunga dalla fine della Guerra Fredda continua e non si può neppure scappare a Miami e reinventarsi come i cubani e i venezuelani perché siamo troppo ricchi…finché ci sono i risparmi delle generazioni del boom economico.