Sundance: il festival del film indipendente che fu
Un sole, ma gelido (la temperatura media di gennaio a Park City in Utah è diversi gradi sotto zero), molti party; ma di dance ce ne è poco, perché nei party americani per la maggior parte del tempo si sta in piedi con un bicchiere in mano a chiacchierare e, a Hollywood, a cercare di capire se l’interlocutore conta qualcosa o possa essere in qualche modo utile. Al Sundance Film Festival, si trova soprattutto una marea di film, oltre cento nell’edizione del 2019, e quaranta premi.
Sundance nasce negli anni settanta come festival degli esclusi dal grande circuito, il cinema dove si svolgono le proiezioni sembra uscito da una cittadina americana degli anni 50; decolla poi negli anni ottanta grazie al coinvolgimento e alla direzione di Robert Redford, e diventa parte della macchina di Hollywood negli anni 2000, consacrando proprio l’esclusione del vero cinema indipendente nel 2009 con Official Rejection, un documentario che racconta di come vengono respinti ai festival i film, compreso Sundance; ma che la giuria ebbe il coraggio di accettare, senza però premiare e che non avrebbe nessuna chance oggi.
Dal 2010, anche grazie alla consacrazione di Precious agli Oscar l’anno prima il festival è ufficialmente mutuato in una stravagante orgia di prime, party esclusivi, star che arrivano in aereo o elicottero ed altre amenità varie.
Una sorta di mini Los Angeles dal clima gelido ma secco dello Utah (la miglior neve al mondo, dice il motto dello stato), in una sorta di zona franca che dura dieci giorni, il resort di Park City dove non valgono le rigide regole dei Mormoni che sono la stragrande maggioranza della popolazione.
Cosa aspettarsi alle premiazioni del 4 febbraio? Innanzi tutto, bisogna differenziare tra cinema americano ed in particolare documentari, (quello a sostegno del quale il festival è nato); e cinema mondiale che esiste dal 2000; e poi cortometraggi contro lungometraggi, e la nuova categoria next che dovrebbe comprendere i film più indipendenti tra gli indipendenti; sono “balcanizzati” anche i premi: della critica e del pubblico (solo una volta vinti dallo stesso film il documentario Murderball) e cosi via.
Ma Sundance é anche scandali, come quello recente su Michael Jackson (che è titolo di prima pagina solo in Italia); e soprattutto con Untouchable ha spiegato il fenomeno Weinstein da una delle sue vittime, ma poco gettonato perché “già visto in meglio altrove” (leggi), Harvey non fa davvero più notizia; fino allo stupefacente The Inventor sullo scandalo multimiliardario (in dollari) della Theranos, la società che avrebbe inventato un “super test” del sangue (con una macchina che aveva bisogno di una sola goccia di sangue) e che si dimostrò una totale truffa e che ha fatto molto più notizia degli scontatissimi scandali di Michael Jackson (alla fine più famoso all’estero che in USA).
Chiude la serie Bring Down the House, il documentario sul movimento politico che ha portato a Washington Alexandria Ocasio-Cortez, la ex cameriera portoricana del Bronx che vuole tassare i redditi di oltre un milione di dollari del 73 percento (ma gli unici americani che forse potrebbero ingoiare una cosa del genere sono quelli di origine svedese del Minnesota, che farebbero però meglio a tornare a casa, dato che là i servizi funzionano, in USA no).
Chi vincerà il prossimo 4 febbraio? Impossibile prevedere alcunché anche se sono forse parziale a Pajaros de Verano il film colombiano che era arrivato nella shortlist prima dei candidati all’Oscar, e che racconta dell’influenza della coltivazione della droga sui popoli autoctoni della Colombia.
L’Italia é rappresentata solo paesaggisticamente in un film polacco dal titolo che non pare in Italiano Dolce Fine Giornata (e non “Una dolce fine giornata”) e dall’intrigante Storia di B - La scomparsa di mia madre un documentario su Benedetta Barzini, una icona della moda degli anni settanta e il suo piano, all’età di 75 anni, per scomparire e finalmente liberarsi del ruolo che la società le ha affibbiato suo malgrado.
Accanto alle star, da Julianne Moore al muscoloso “The Rock”, ci saranno, ma non tante quanto i dealmakers delle società di distribuzione a caccia di film particolari, che ormai hanno fatto di Sundance “il” mercato del cinema indipendente.
Robert Redford è troppo impegnato ad autocompiacersi per accorgersi di quello che è accaduto negli ultimi trent’anni.