Dove sono tutti quanti?
Come Charlie Brown, lasciato solo a giocare a baseball sotto la pioggia nei Peanuts, l’estate svuotata dalle occasioni sociali arranca nella pandemia, malinconica, diafana, con i cinema vuoti e Netflix ormai ridotto ad elettrodomestico delle immagini. Hollywood pare sempre meno rilevante.
Persino l’accordo tra una delle maggiori agenzie di talent la UTA e il potentissimo sindacato degli scrittori sui cosiddetti packaging fees e l’uscita di United Talent Agency dalla mega causa che ormai continua da un anno tra il Writers Guild e gli spietati agenti, è quasi passata inosservata.
Il cambio della guardia alla Warner Brothers (due managers defenestrati con le relative squadre) ha fatto notizia quanto un gatto su un cornicione. Sebbene si ricominci a girare con mille cautele (spesso avversate dai potentissimi sindacati), a Hollywood manca l’ossigeno perché la sua vita è il glamour, le feste, i baci e abbracci (non importa se veri o falsi) le star, i luoghi alla moda a Los Angeles, agli Hamptons e in Europa. Oltre ai cinema.
Senza le sale, la fabbrica dei sogni non ha il luogo classico dove smerciare i suoi prodotti: il pubblico non può andare nei cinema, e la stagione dei lanci dei film (quella estiva, perché nel novanta per cento degli USA è torrida e ci si rifugia nell’aria condizionata) si è vaporizzata.
Los Angeles al massimo sostiene qualche drive in e cene all’aperto nei parcheggi dei ristoranti, o feste in ville prese in ostaggio da delinquenti travestiti da artisti hip-hop che affittano su Airbnb: e allora il sapore è quello dei block-party estivi dei ghetti neri di Spike Lee, con sparatorie incorporate.
Il glamour non abita più li. Gli Hamptons? Manco a parlarne: innanzitutto per la quarantena imposta ai californiani dallo stato di Andrew Cuomo; e poi perché le ville sull’Atlantico sono occupate da migliaia di colletti bianchi e professionisti di Manhattan mai rientrati in città dopo marzo, che ora lavorano in smart working.
L’Europa? Per chi ha passaporto USA impossibile entrare: per chi ha un altro passaporto quarantena obbligata, ma dura le due settimane che costituiscono già una grande vacance per gli americani, comprese le star.
Venezia è a meno di tre settimane, ma chi andrà e come, anche da altri paesi d’Europa? Là, il virus si rifà sentire anche senza l’aggressività catastrofica che lo ha contraddistinto in Italia in inverno (per numero di vittime), ed in USA in estate (per numero di casi), ma è tutt’altro che sconfitto. Panta rei e tutto tace.
La bizzarra estate volge al triste e si porta via uno degli ultimi titani di Hollywood, il quasi centenario Sumner Redstone ex presidente di Paramount e di CBS, al centro di un complotto di famiglia da anni; e, prematuramente purtroppo, il presidente della Hollywood Foreign Press e dei Golden Globes, Lorenzo Soria, arguto, dall’humor quasi britannico, un vero giornalista in un’organizzazione tanto potente quanto discussa.
Il presidente ci lascia proprio quando la Hollywood Foreign Press è bersagliata da una causa più aggressiva e cattiva di tante altre rapidamente messe a tacere. L’avvocato è l’ex capo dell’ufficio legale dell’Academy: chissà quante volte avrà abbracciato quegli stessi che ora taccia di essere pericolosi sfruttatori di Hollywood e “criminali” che hanno costituito un cartello anti trust delle notizie di Hollywood. La querelante è una giornalista norvegese della nuova generazione (quella di YouTube e dei Podcast), respinta due volte come candidata al circolo magico degli 87, che decide chi potrebbe vincere gli Oscar sette settimane prima dell’Award dell’anno. Leggi qui
È spalleggiata da un membro svedese della Hollywood Foreign Press, che ha consegnato centinaia di documenti al team legale. In altri tempi ci sarebbero servizi di pagine sui trades, la stampa specializzata e interviste di ore.
Adesso, siamo ridotti a trafiletti che scompaiono dopo due giorni. Panta rei.