Scioperi di Pirro

E just like that (come la serie seguito di Sex and the City), dopo 146 giorni per gli sceneggiatori, e 118 giorni per gli attori, gli scioperi della lunga estate di Hollywood sono finiti, appena in tempo per i venti caldi Santa Ana dell’autunno californiano e le produzioni che sfoceranno nella pilot season (i nuovi programmi proposti con episodi a campione ai primi di marzo) e nei film per l’estate 2024. 

Entrambi gli accordi, oltre ad aumenti delle remunerazioni che nella realtà vanno ben oltre il tasso di inflazione attuale,  presentano quello che pare essere ciò che i sindacati volevano. Maggiore condivisione delle entrate dei giganti di streaming che, a parte Netflix, vanno maluccio, specie quelli collegati alle majors come Disney Plus o Paramount Plus; limiti a quanto possono essere tagliati i gruppi di scrittori su un progetto, e pesanti paletti per l’intelligenza artificiale, sia nella scrittura (il prodotto che contiene AI non è opera di ingegno), che per gli attori (che non possono essere “duplicati” dall’AI).

“Fair Deal” per ora, ma no deal la prossima volta!

Eppure, nonostante gli entusiasmi per accordi visti come storici da ambo le parti ed i ringraziamenti reciproci per il salvataggio dei film e telefilm della stagione 2024, appare tutto molto forzato
Questo forse perché in cuor loro i  potentissimi sindacati degli attori e degli scrittori sanno, e i rappresentanti degli studios l’hanno saputo dopo pochi giorni di sciopero, che i maggiori costi di questi contratti saranno ribaltati sui consumatori, specie quelli delle piattaforme di streaming che fino ad oggi hanno avuto a disposizione ore di contenuti a prezzi ridicoli rispetto ai cinema che continuano a faticare post pandemia. 

Per gli amanti del binge-watching di serie (guardarle per ore ed ore) la cuccagna potrebbe finire presto (leggi: abbonamenti a Netflix a cinquanta dollari al mese ed oltre).
Ingoieranno l’amaro boccone, o perderanno interesse, non del tutto, ma abbastanza per far sparire i profitti da Zio Paperone di Netflix e compagnia?

Ma non è finita qui, perché questo sciopero ha fatto sicuramente pensare agli studios quanto valga la pena continuare a stare dove sono, a Hollywood che rimane il peggior posto in USA dove operare un business, salvo che Manhattan a New York. I sindacati degli attori già parlano di ulteriori richieste nel 2026 quando scadrà il contratto appena firmato.

Perché dunque non fare come l’auto a fine anni settanta che abbandonò il Midwest a favore di stati dove la legislazione era poco favorevole ai sindacati, e a cui seguirono i costruttori giapponesi, europei e di recente coreani?

Lo spostamento delle produzioni fuori dalla California (probabilmente negli stati del sud, Florida e Texas in testa, anche per il clima almeno in parte favorevole) sarebbe epocale, anche se a L.A. rimanessero gli honchos, i mega manager degli studios che prendono le decisioni di business. Questo perché i sindacati, seppure nazionali, in posti come il Texas o la Florida hanno pochi fan e quindi attori, scrittori, registi e lavoratori del set sarebbero privi di quell’ecosistema che esiste solo a Hollywood e, in maniera limitata, a New York (per il teatro, non tanto per il cinema). Ecosistema che, sparito da L.A., distruggerebbe l’unico settore di leadership mondiale che le è rimasto, insieme al molto meno importante della musica. Un inferno simile a quello delle grandi città del rust belt, la cintura della ruggine, del Mid West degli USA, quali Detroit, Cleveland, Pittsburgh ed in parte Chicago che, persa l’industria pesante e le entrate sotto forma di tasse, si ridussero a ghetti segnati da fabbriche abbandonate, cantate molto realisticamente dalle ballads di Bruce Springsteen.

Holllywood come Detroit se gli studios se ne vanno?

A quando il cambio? C’è da scommettere che gli studios stanno pensadoci da oggi, e che un altro sciopero di questo genere tra due anni (specie se vi sarà una recessione) sarà assolutamente inaccettabile per le organizzazioni degli imprenditori del cinema. Ma, a differenza di oggi, gli honchos avranno pronte contromosse di stampo “Raeganiano” con i controllori di volo negli anni ‘80 (licenziati in massa e sostituiti, sono dipendenti del governo federale, per i troppi scioperi). Solo dalla reazione dei consumatori, che pagheranno per questi accordi, e dall’ approccio dei sindacati al prossimo rinnovo dei contratti, tra qualche anno, si saprà cosa potrebbe portare il futuro.

Benvenuti a Caracas compagni (e non sono certo fotogenici come le miss Venezuelane!)

Putroppo però, il futuro appare già poco roseo a giudicare dalla completa mancanza di contatto con la realtà del mondo politico ed economico californiano.

Infatti il Los Angeles Times, organo ufficiale della politica californiana, sostiene che si sarebbero dovute accettare le richieste sindacali in toto perché l’amministratore delegato di Netflix guadagna decine di milioni all’anno (ragionamento da juncta venezuelana, ma attenzione perché Miami, dove sono scappati milioni di venezuelani, è molto più raggiungibile da L.A. che da Caracas!).

Se le cose stanno così, il rinnovo dei contratti di attori scrittori e registi del 2026 segnerà la fine dell’industria dell’entertainment come la conosciamo a Hollywood, e quelle dell’autunno 2023 saranno vittorie di Pirro.