$doganàti!

Tornano in pompa magna i Golden Globes in un martedì (lo slot della prima domenica di gennaio se l’è accaparrato il Premio dei Critici che nessuno sapeva bene cosa fosse fino ad oggi) piovoso come tutto questo gennaio dove a Hollywood è scesa più acqua che nell’ultimo anno.

Ma i Golden Globes bagnati sono Golden Globes fortunati perché le star sono tornate, gli agenti raccomandano di presenziare ridanciani e di dire che quello è the best party of the year sul tappeto rosso (grigio quest’anno), e tutti si sperticano in lodi ai nuovi Golden Globes.

Contentissimi anche i soci dell’Academy che decide i vincitori degli Oscar. Hanno bisogno di sapere chi votare, dato che molti di loro non vanno al cinema da decadi e non conoscono nulla di Hollywood da quando ne sono usciti, alcuni più di cinquanta anni fa.

Ma prima di tutto, come mai i Globes, che erano diventati il nuovo cattivo di Hollywood, ora vengono riabilitati?

Tutto nasce da Black Lives Matters nel 2020: l’organizzazione radicale che denunciò i Globes per non aver abbastanza soci di colore americani. Il fatto che l’associazione richiedesse che i soci fossero giornalisti stranieri residenti a Los Angeles e che scrivessero per testate straniere - e quindi i potenziali soci di colore potevano essere solo neri non americani (e diversi giornalisti di colore inglesi avevano cortesemente rifiutato non volendo vivere a L.A.) - venne taciuto e, pena il boicottaggio, la Hollywood Foreign Press Association, o HFPA (l’acronimo che la distingue), nominò un “funzionario sulla diversità” (il 30 per cento dei soci sono ispanici e un altro 10% asiatico). nero.
Ma il mea culpa non funzionò e la NBC (che ha un contratto milionario per la trasmissione in diretta), spaventata da altri boicottaggi, scioperi e manifestazioni oceaniche anti-Globes (allora spesso seguite da “espropri proletari” di grandi magazzini di lusso), sospese il contratto “pentita”. I Globes non furono trasmessi nel 2022 (dopo una trasmissione “pandemica” ridotta nel 2021 che fu vista da una dozzina di persone!).

La macchina di Hollywood si mise allora in moto, e applicò il principio if you can’t beat them, join them (se non puoi batterli unisciti a loro).

Innanzi tutto lavorando da dietro le quinte per dare ad una delle fondatrici di BLM (aspirante produttrice sconosciuta) un lavoro vero e “decapitare” il nemico. Compiuta quella missione, e sgonfiatosi BLM nel 2022, anche a causa del disastro criminalità in California che lo slogan Defund the Police aveva portato (criminalità che comunque colpisce sempre in modo sproporzionato i neri), venne rifondata la HFPA con membri di categorie diverse.

Questo ha permesso di introdurre un copioso numero di esponenti di minoranze americane: infatti, quello che pochi sanno è che chi non sia cittadino, anche se nero ed in USA legalmente, non è considerato una minoranza “svantaggiata” (altra ragione per cui i membri neri africani ed inglesi nella HFPA non erano accettabili per BLM) per una semplice ragione: costoro non possono votare e quindi non possono “sdebitarsi” nei confronti del partito che li ha aiutati, quindi che importa se sono discriminati, se poi i loro salvatori non vengono ricompensati per la loro “disinteressata” tutela?

Chiusa la parte immagine, Hollywood ha focalizzato sul motore che la muove, i soldi. Era però impossibile “liberarsi” subito dell’assortimento di personaggi da fumetto (che ricordano il mitico Alan Ford degli anni settanta più che i supereroi) nella HFPA: da ottuagenari che non sanno usare un computer, ad ex venditori di elettrodomestici (l’Italia si posiziona bene perché è uno dei pochi paesi ad avere anche giornalisti veri tra i membri, insieme ai soliti “amici degli amici” ma tant’è…).

Cosa ha fatto il proprietario, fondo Elridge Industries del lupo di Wall Street Todd Boehly (organizzazione che ha due neri tra 39 senior partners, junior partners, e dirigenti tanto per essere “inclusivi” quando si parla di far soldi)? Ha trasformato i Globes in una società for profit, separando le attività non profit, per poter avere un modo di distribuire le decine di milioni di dollari che entrano in cassa grazie ai diritti televisivi, lasciando pochi milioni per attività di beneficienza.

Prima, l’intero budget (diverse decine di milioni) andava devoluto in beneficienza: una cifra considerevole anche con le mancanze rivelate in un audit del 2020 durante una delle decine di cause sempre transatte. Ora, non più: la Eldridge Industries si mangerà la saporita polpetta dei diritti televisivi lasciando le briciole alla non profit (ma, avendo un conspicuo budget pubblicitario sembrerà a tutti generosissima).

Come liberarsi poi dei personaggi da fumetto che hanno visto sparire viaggi e regalie su cui vivevano?
Semplice: la Eldridge ha richiesto che i membri sottoscrivano un contratto sulla base del quale saranno regolarmente pagati con quello che a L.A. guadagna una persona che fa un lavoro per cui basta un diploma della notoriamente inutile high school americana, cioè settantacinque mila dollari lordi (ricordiamoci che a L.A. la pizza media costa come la famosa “pizza di Briatore” cioè circa 25 dollari ed oltre!).

In questo modo, se “sgarrano”, saranno licenziati da un giorno all’altro. Ed essendo ancora principalmente bianchi, chiaramente i licenziati non potranno accampare discriminazione alcuna.

Un’esecuzione magistrale che si unisce ad un battage di immagine splendido, da cui segue che i “nuovi Globes” sono diventati quanto Hollywood desiderava e quanto ha “salvato” la HFPA dall’estinzione. Se gli ascolti daranno ragione alla Elridge Industries, la trasformazione sarà completa e Hollywood si auto congratulerà per l’ennesimo pezzo di disinformazione contrabbandata come “operazione di inclusione” e “marketing” per quella che, in realtà, è una rinnovata macchina da soldi.

Detto questo, importa poco chi abbia vinto (salvo per i già citati membri ottuagenari dell’Academy ed il loro voto per gli Oscar), ma diciamolo per dovere di cronaca.

Babilonia sì, ma non di premi quest’anno

Steven Spielberg vince due Globes (miglior film drammatico e miglior regista) con il suo film autobiografico The Fabelmans, genere Hollywood autocelebrativo molto più positivo che Babylon di Chazelle (così realistico sul trauma del passaggio al sonoro che potrebbe svolgersi ora e parlare di programmi di reality contro programmi con attori veri), che rimane a bocca asciutta salvo il premio per la miglior colonna sonora.

Il film fantastico incentrato su una proprietaria di lavanderia cinese che non paga tasse (tutto il mondo è paese) e viene scoperta dall’onnipotente agenzia delle entrate USA di Everything and Everywhere All at Once frutta a Michelle Yeoh il premio miglior attrice in una commedia, che condivide con Cate Blanchett, miglior attrice drammatica, per Tàr.

La commedia nera irlandese (con sottotitoli anche se i protagonisti parlano in inglese perché il settanta per cento degli americani non ha mai sentito un accento inglese che non fosse americano in vita sua) strappa due premi. The Banshees of Inisherin vince, infatti, come miglior commedia e Colin Farrell torna al grande schermo con un Golden Globe come miglior attore in una commedia.

Il film argentino Argentina 1985 sui processi ai militari durante il regime di Videla, vince come miglior film straniero sull’indubbiamente migliore All’Ovest Niente di Nuovo, snobbato a causa del messaggio secondo cui nessuna guerra è giusta. Questa posizione, infatti, potrebbe odorare di russofilia inaccettabile per Hollywood, schierata con l’Ucraina.

L’Italia è invisibile (salvo qualche oriundo in Argentina 1985 ed il sempre verde Pinocchio questa volta un cartone animato tridimensionale di Guillermo Del Toro) e meritatamente (come lo sarà agli Oscar) finché si riescono a scritturare solo attori che ormai viaggiano tra le sessanta e settanta primavere, causa di una classe dirigente che si avvia ad età da regime vietnamita.

E i famosi party? Poco o niente, non per il Covid, ma perché regnava la paura che lo show venisse respinto e che le risate e le bevute alle feste potessero essere usate per tacciare di razzismo i partecipanti: il famoso party di Netflix è stato ridotto ad un “brindisi” due giorni prima della presentazione, dove non appare nessun riferimento ai Golden Globes.

Ma niente paura, gli ascolti saranno buoni, le star hanno fatto il possibile per sembrare divertite alla cerimonia, e i Golden Globes, improvvisamente politically correct e sdoganati da un gruppo di squali del private equity travestiti da angioletti, torneranno finalmente sdoganati dall’ancora inossidabile dio Dollaro.

O forse no: i dati di audience dei Globes sono stati i peggiori di sempre salvo che durante la pandemia. Troppo politically correct per chi non sta nella bolla di Hollywood, o semplicemente noiosi?