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È ufficiale: dopo manovre che sono durate tutta l’estate, alcune segrete, altre meno, i Golden Globes ritornano in TV con il canale di sempre, la NBC insieme alla Dick Clark Productions, che solo tre anni fa aveva minacciato di far saltare il banco dopo che i Globes erano stati condannati a rimanere con la NBC sotto un contratto perpetuo.

Massima diversità le acconciature….

… ai tempi del politicamente scorretto.

Nuovo trofeo?

Ma andiamo con ordine. Nel 2021 il premio, che spesso anticipa le decisioni dell’Academy sugli Oscar, cade in disgrazia ( ci era già andato vicino con il #metoo, ma era uscito indenne secondo il famoso principio “il più pulito ha la rogna”): prima una giornalista norvegese fa una causa-pilota alla Hollywood Foreign Press, la non-profit che gestisce il premio, sostenendo che non ammetterla è una violazione delle norme antitrust. Raccoglie prove su prove grazie ad una talpa interna, niente altro che il suo fidanzato che le passa tutto - e non viene espulso per paura che si trasformi in un teste chiave. La causa attrae attenzione ma non è dirompente. Ma ecco che, qualche mese dopo, arriva un aiuto inaspettato, il movimento Black Lives Matter, che passa un exposé al Los Angeles Times (ormai più liberal del Manifesto) il quale rivela che non ci sono neri nella giuria.

I membri della HFPA (come è nota a Hollywood), la cui età media è ben oltre quella della pensione, pensano sia il solito articolo denigratorio (ne escono diversi all’anno, che sempre scivolano via, tutti centrati sulla completa mancanza di qualifiche di molti membri e sui rapporti corrotti con gli studios), non si rendono conto che il vento è cambiato, e la loro difesa è la solita: dato che è una associazione di stranieri, non possono esserci neri americani, ed i giornalisti neri non-americani non vogliono trasferirsi a Los Angeles (che la dice lunga su quanto brilli Hollywood di questi tempi) o non ne hanno i mezzi.

O meglio oro - vecchio stile?

Ma non basta: iniziano a fioccare le notizie di boicottaggi, e la pressione è tale che la HFPA deve nominare un diversity officer (pagato a peso d’oro dall’associazione non si capisce per far che cosa, dato che oltre un terzo dei membri non sono bianchi), il quale incontra resistenza quando propone di “rottamare” alcuni membri a favore di neri e ispanici americani, e si dimette. A quel punto scatta la cancellation. NBC sponsorizza una ultima puntata in piena pandemia che non fa audience e poi sospende il contratto a tempo indeterminato.

Verrà invitato lo “schiaffeggiatore” Will Smith?

Ma la fenice di Hollywood deve rinascere. E ben vengano dal nulla comitati, “nuovi membri” di giornalisti mai sentiti (insieme a giornalisti seri, cosa che parla da sola) che si chiamano con nomi tipo Tra’Velle e usano il pronome plurale per identificarsi come né uomini né donne (ma la NBC in Texas li trasmetterà questi Golden Globes che fanno audience solo a San Francisco?), et voilà, ecco i nuovi membri!

Prevalgono i sudamericani, che a Hollywood devono essere chiamati LatinX perché il pronome maschile o femminile non è inclusivo (peccato che oltre l’ottanta per cento dei latinos trovi insultante il termine, anche perchè imposto da un altro gruppo etnico!) ma ci sono anche arabi, un armeno (conta come anglosassone però), indiani (ma lo era anche l’ultima presidente della vecchia guardia, che parlava troppo “bianco”), e persino una “Afro-Irlandese”. Insomma chi più ne ha più ne metta per far contenti gli studios, i PR di L.A. e la California e tutti fuorché il pubblico americano di Peoria, città in Illinois che dovrebbe essere quella più vicina alla media delle statistiche americane. Tanto contenti che il fatto che ora l’HFPA abbia un codice etico non fa neppure notizia.

Fino al 2021, infatti, erano permessi regali dagli studios e molti dei membri letteralmente vivevano sulle prebende. Fece scalpore il Golden Globe al terribile Emily in Paris… fino a quando non si seppe che una dozzina di membri erano stati in vacanza gratis a Parigi per una settimana, tutto incluso, “…per venire ad osservare il set”!

Tutto è bene quel che finisce bene, dunque: diventati politically correct, i Golden Globes sono stati riaccolti a Hollywood come un figliol prodigo?
Tutt’altro. I Golden Globes sono stati acquisiti e trasformati in società for-profit dallo stesso fondo di investimento che comprò la società di produzione Dick Clark e che li salvò dopo la batosta della causa pilota (persa, ma poi transatta con spese legali a otto cifre!).
Per non lasciare nulla di intentato, il fondo ha anche investito nel famoso Beverly Hilton, dove si è tenuta la cerimonia da tempo immemore. Con il pacchetto in mano, Wall Street ha strappato un anno di diretta con NBC, ma nulla dopo.

Ambitissimo fino al 2020, radioattivo l’anno scorso, e resuscitato nel 2023?

L’idea è di vendere i diritti agli streamers, ma vi è un rischio, e cioè che l’audience sia così bassa da rendere ogni futura trasmissione improponibile (per ora gli streamers non fanno pubblicità).

E poi, quanti membri parteciperanno attivamente ora che non hanno nulla da guadagnarci? E come voteranno? E se voteranno “male”quanto cachet avrà questo premio? Non basterà certo il cachet dei party, da sempre i migliori della Award Season, né quello dei presentatori che possono fare battute che non sono proprio adeguate alla audience della Middle America!

Vedremo se la fenice volerà ancora sul Beverly Hilton o se il prossimo 10 gennaio (un martedì perché alla domenica c’è il football americano!) non sia un canto del cigno per una delle organizzazioni più controverse (e più coccolate, perchè macchina da soldi) della Fabbrica dei Sogni.