Oscar sottosopra
Alle 5 e 18 antimeridiane ora di L.A. sono arrivate puntuali le nomination agli Oscar, sempre più sotto tono, come ormai da due anni: Hollywood è ancora in coma, non tanto direttamente per la pandemia, ma perché la pandemia ha distrutto il meccanismo dello star system, il glamour, e tutto quello che faceva di L.A. la fabbrica dei sogni.
Niente party (salvo che con misure anti covid draconiane, come il numero chiuso e quindi senza wannabe che cercano di presenziare!), niente prime di film salvo che super limitate, niente audizioni aperte a tutti e, in alcuni casi, niente comparse nei film, troppo rischio.
Lo show business sta diventando sempre più un business come tutti gli altri, e alla fine comincia a sembrare meno interessante fare film da vedere in pigiama su Netflix (crollato in borsa perché ormai il mercato del primo mondo è saturo) contro auto elettriche, razzi che sporcano i cieli o creazioni per il mondo alternativo del Metaverse: insomma, di meno cool ormai resta solo spedire pacchi con Amazon, ecco perché Bezos diversifica con Amazon Studios e cerca di proiettare un’immagine larger than life andando nello spazio.
Ma sempre meglio che gestire una linea aerea, dove viaggiare in classe turistica è diventato più rischioso per la propria incolumità che un treno regionale notturno nell’Italia del Nord, o una cuccetta sulla tratta Salerno-Reggio Calabria a causa di passeggeri matti, No Vax, Black Lives Matter e chi più ne ha più ne metta, convinti che una cabina striminzita sia il luogo migliore per urlare le proprie convinzioni (i passeggeri i ubriachi ci sono sempre stati sulle tratte turistiche tra USA e Messico o diretti a Las Vegas!).
Ma veniamo alle nominations. Lady Gaga e House of Gucci vengono snobbati (grazie Academy), mentre la fanno da padrone The Power of the Dog (chiaramente il film da battere con dodici nomination), Western che non è Western e Don’t Look Up, satira anti-trumpiana ben fatta, ma che manca di verve ed il cui finale non è forse abbastanza sorprendente da far pensare come il regista vorrebbe.
Belfast e Licorice Pizza, diversissimi film di formazione in tempi diversi ma che mostrano le enormi differenze tra Stati Uniti ed Europa, seguono con cinque e tre nomination.
Dune, l’ennesimo rifacimento, prende sette nomination (ma due che contano, sceneggiatura e miglior film) e rimane l’unico film ad avere incassato più di cento milioni di dollari post pandemia.
Nel 2019 c'erano cinque pellicole che avevano superato i cento milioni, ma ormai chi se lo ricorda? Steven Spielberg (che continua a poter fare qualsiasi film voglia) ha portato 35 milioni di botteghino e sette nomination con West Side Story. Fece 37 milioni di allora, con Sugarland Express nel 1974!
Ed i film stranieri? Il leader è Drive my Car che, come da qualche anno avviene, si porta a casa anche nomination fuori dalla categoria dei film stranieri (miglior film e miglior sceneggiatura, oltre a miglior film straniero), dimostrando che la quieta poesia giapponese ha fatto presa sull’Academy. La poesia napoletana di Sorrentino lo catapulta nella cinquina finale: un risultato eccezionale, essendoci molto meno tracce di Fellini e molto più Sorrentino (sconosciuto agli americani) in La mano di Dio.
Merita menzione il norvegese The Worst Person in the World, già Palma per la miglior attrice a Cannes, che fa meditare su come si possa essere tra le persone più felici del mondo in Scandinavia se esseri umani come la protagonista del film girano a piede libero!
Chi vincerà non importa, perchè Hollywood è in rianimazione. Da un lato gli streamers (ci avevano visto giusto i francesi a Cannes 2019 che volevano tenerli fuori dai premi) hanno soppiantato i cinema e, grazie alla pandemia, l’accelerazione in merito è stata drammatica ma il risultato finale sarebbe arrivato comunque. La crisi delle sale rimane sempre più evidente, e l’indicatore finale su quanto il glamour di Hollywood faccia ancora presa fuori dalla bolla di chi ne è protagonista di persona, sarà quello dell’audience televisiva degli Oscar il 27 marzo prossimo (con un mese di ritardo causa variante Omicron) rigorosamente senza un presentatore.
Lo share è andato da 40 milioni nel 2018 a meno di 10 milioni nel 2021, e le cifre del 2020 erano già poco convincenti.
Ma Hollywood non sembra curarsene, tutti si lamentano, ma i dollari entrano lo stesso e gli studios pensano di aver rimediato allo strapotere degli streamers diventando loro concorrenti, come gli streamers hanno fatto comprandosi o creando i loro studios. Ma il cataclisma che potrebbe seguire sarà pari all’avvento del sonoro.
I cinema potrebbero diventare “esperienze” per amatori o per pochi, mentre chi se lo può permettere o si creerà una sala cinematografica a casa, o sarà contento di vedere una prima su un grande schermo LED da casa, alla faccia delle prime e dei tappeti rossi.
A quel punto chiuderanno bottega anche le finte scuole di recitazione per attori che mai verranno scritturati, le agenzie di “modelle” che sono in realtà escort per rappers, i produttori armeni con facce lombrosiane a caccia di aspiranti starlet, i ristoranti dove una quota dell’uno percento ad un attore permette di caricare trenta dollari per un piatto di spaghetti, e forse pure i bus dall’Arkansas: a Los Angeles, per dire che una persona è a caccia di fama ma senza né arte né parte si dice che è appena scesa da un bus arrivato dall’Arkansas!