Spike Zitto!

Vince il solito film “artistico” francese Titane, genere horror-transgender, e il messaggio della diversité va in completo cortocircuito, quando Spike Lee, annuncia il vincitore della Palma d’Oro alla conferenza stampa prima della premiazione, ma naturalmente se la cava con un I am sorry nel nome della equal opportunity alla stupidità fumata – o forse semplicemente geriatrica – già esibita da Warren Beatty nel 2017 con l’annuncio errato agli Oscar (dove essere annunciato Moonlight e non La La Land -ormai chi se li ricorda?).

I vincitori con l’inossidabile Sharon Stone, pensionata ben tenuta di Beverly Hills che ormai ci filiamo solo noi e i cugini francesi… ma come attrice? “Ma no, salvo forse qualcosa prima che esistesse Netflix” dicono a Hollywood!

I vincitori con l’inossidabile Sharon Stone, pensionata ben tenuta di Beverly Hills che ormai ci filiamo solo noi e i cugini francesi… ma come attrice? “Ma no, salvo forse qualcosa prima che esistesse Netflix” dicono a Hollywood!

Che dire di Titane?

Il sospetto della vittoria per “quota” c'è perché un altro thriller molto più poignante (con animali umanizzati) era l’islandese Lamb, ma non è bastato. Primo, non è un film francese; secondo, gli islandesi sono già progressisti, ma allo stesso tempo tutti biondi e belli e quindi privilegiati.

Non è bastato neanche che i protagonisti del film di Jóhann Jóhannsson fossero mentalmente sfasati, incapaci di relazionarsi e chiaramente damaged goods; non sono comunque disgustosamente aberranti come i protagonisti dell’horror francese, e poi questi islandesi sono etero e tutti bianchi!

Per fortuna che nelle altre categorie i giurati non si sono sbizzarriti e hanno premiato il cinema.
Spicca la Palma D’Oro per la migliore sceneggiatura meritatissima dal giapponese Drive My Car. Anche qui, come in Titane, un’auto è co-protagonista. E proprio perché inanimata, è plasmata dal regista ad oggetto poetico: e di poetico ad avere una Saab in Giappone (auto snob e unica anche nella sua natìa Svezia) c’è così tanto, che le tre ore di sceneggiatura filano via in un attimo, mentre con Titane ci si chiede se per caso la fine sia più vicina di quello che ci si aspetti!

La Palma per la migliore attrice va a Renate Reinsve per The Worst Person In The World. Tematica anche questa molto gender friendly di una donna con la sindrome di Peter Pan, ma si sa che in Scandinavia arrivano primi in queste cose.

Miglior attore Caleb Landry Jones per Port Arthur. E poi, il Grand Prix della giuria che va (ex aequo) all’iraniano Un Eroe, che porta finalmente un premio a Asghar Farhadi, presente ben quattro volte a Cannes, e al finlandese Juho Kuosmanen con Scompartimento numero 6.

Strana, invece, la decisione del premio di miglior regista a Leos Carax con Annette, poco apprezzato dalla critica (innanzi tutto per essere un musical) ma che si mette in lizza per una o più candidature per una statuetta.

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Palma alla carriera a Marco Bellocchio, per fortuna, sennò l’Italia sarebbe rimasta completamente all’asciutto grazie al “capolavoro” di Moretti Tre Piani entrato si dice su raccomandazione o per “anzianità di servizio” del nostro Nanni.

Ma la Palma non-ufficiale (alla stupidità) la prende Spike Lee, che annuncia il vincitore alla conferenza stampa che precede la premiazione, rispondendo a quella che l’icona liberal pensava essere la domanda “chi vincerà quest’anno?” fatta a Lee dalla presentatrice, ed obiettivamente mal tradotta. Chiaramente Spike non ha pensato un secondo alla possibilità di rivelare un vincitore in anticipo. Invece ha giudiziosamente guardato i suoi appunti e poi ha declamato. In realtà, parlando un francese anche maccheronico si sarebbe capito che la presentatrice aveva chiesto quale fosse il “Gran Premio” e non il vincitore.

Ma Lee, che chiaramente non sa il francese (perché è lingua dei privilegiati in USA?) ha proseguito e, recitando “Palme d’Or…” con una pronuncia perfetta, ha rivelato “…Titane mentre alla prima sillaba gli altri membri della giuria gridavano “Nooooo” come in una commedia di serie B.

Poi naturalmente si è scusato.

Avrebbe potuto accusare i “Gangsters che governano l’America” – così li ha chiamati in un’altra conferenza stampa – di avergli impedito di imparare il francese, ma si è astenuto, non perché abbia classe, ma perché un’uscita simile non gli è venuta in mente: ça va sans dire che nessuno deve imparare nessuna lingua straniera in USA!

Alla fine, tutto tarallucci (…o biscotti madeleine) e vino (pardon, champagne!), in un finale disorganizzato, molto paesano italiano e poco di classe francese.

Meno male che presto arriva Venezia: essendo per gli americani l’italiano meno ostico del francese e come lo spagnolo, il rischio di queste gaffe per noi sarà minore. Ci aiuterà il presidente di Venezia Bong Joon-ho: parla solo il coreano!