Una Corea per Hollywood
Oscar dal tempo gelido e bagnato in questo 2020, anticipati perché le primarie per la presidenza USA sono troppo vicine alla data tradizionale di fine febbraio. Nessun presentatore, solo Chris Rock e Steve Martin che hanno fatto il possibile per essere polemici nella loro introduzione, ma sono rimasti lontanissimi dallo spirito senza freni di Rick Gervais ai Golden Globes un mese fa.
Come previsto Scorsese rimane a bocca asciutta (insieme a Netflix, 24 nominations e due statuette), ma così anche Quentin Tarantino, anche se C’era una volta …a Hollywood ottiene la straprevista statuetta per Brad Pitt (rico y suave come non mai) come miglior attore non protagonista. Altrettanto prevista l’unica presenza “forte” di Netflix, Laura Dern come miglior attrice non protagonista (oltre all’ottimo documentario “American Factory”).
Tutti avrebbero scommesso su 1917, che era il favorito dai Golden Globes in avanti ma che ha preso solo tre statuette “minori”, cinematografia, effetti speciali ed effetti sonori. Poi, premi sparsi, e persino un premio per la miglior sceneggiatura originale al comico-bizzarro Jojo Rabbit (una sorta di “La vita è bella” per gli americani).
Elton John vince una statuetta che sarebbe potuta andare a un talento più giovane per la canzone del suo Rocketman. Ford vs Ferrari porta a casa due statuette, montaggio e suono. Peccato per il bellissimo Honeyland della piccola ma creativa Macedonia che però aveva formidabile concorrenza: Parasite.
Ed è proprio questa la vera sorpresa: Bong Joon-ho che vince miglior film straniero (prevedibile, avendo vinto Cannes), ma anche miglior sceneggiatura e miglior regista.
Con Tarantino e Scorsese a dover abbozzare quando il regista coreano li ha ringraziati per l’ispirazione.
Ma soprattutto senza precedenti, è la vittoria come miglior film in assoluto, per la prima volta da sempre, oltre a anche miglior sceneggiatura e miglior regista (ma nulla come miglior attore o attrice, la Loren e Benigni sono salvi!). Non è difficile capire perché il film sia piaciuto. I personaggi di Parasite sono come gli hanger on, sicofanti che si insinuano nelle vite delle celebrity di ricchi pseudo tali. Ma il fatto che questo avvenga in Corea, paese che pochi conoscono, in una lingua incomprensibile, e in salsa thriller molto asiatica e poco americana, permette ai membri dell’Academy di non sentirsi in colpa, e di parlare dei grandi temi sociali del film , senza dover guardare a quanto di turpe avviene tutti i giorni nel loro mondo. È anche un testamento di quanto molto membri dell’’Academy si siano voluti distanziare dall’America (di un prodotto autocelebrativo come C’era una volta… a Hollywood per esempio) pur di non apparire collegati all’America First di Trump. Cosa c’è di meglio di una scelta antiamericana per eccellenza come scegliere un film non americano per sfatare l’America great again di Washington?
Per gli USA è comunque una rivoluzione, perché i film con sottotitoli sono pressoché sconosciuti, e in realtà un Oscar dovrebbe anche andare all’operatore che ha mostrato in diretta le facce esterrefatte dell’élite di Hollywood alla victoria maxima di un completo outsider che non parla neppure inglese e ha bisogno di un’interprete sul palco.
C’è speranza per gli Italiani, se solo riuscissero a fare grandi film artistici con un messaggio globale, e con il nostro spirito unico non pellicole provinciali su temi inutili fuori dal Paese. In Corea il messaggio globale è quello della disuguaglianza di reddito sempre più marcata anche nei paesi cosiddetti ricchi, un tema caro alla progressista California come si vedrà alle primarie e alle elezioni di novembre .
Il resto, tutto nel miglior spirito delle previsioni. Miglior attore Joaquin Phoenix che non ha smentito se stesso lanciandosi (si spera di nuovo sotto l’influenza di qualcosa) in una elucubrazione sulla crudeltà nella mungitura delle mucche. Miglior attrice Renee Zellwegger per Judy, anche qui come previsto: un po’ botoxata, ma più efficace nel suo discorso.
Al di là dei soliti party, dal Governor Ball al Vanity Fair, quello che questi novantaduesimi Oscar hanno mostrato, è l’età. Vecchi, stanchi, con performance d’avanguardia ormail solo sul red carpet, e impacchettati per un il pubblico dell'America profonda, che continua ad amarli ma odiarli allo stesso tempo, ancora di più dopo la scelta radicale di Parasite (share a 29 milioni, meglio del minimo assoluto dell’anno scorso).
La vincitrice dei Grammy, gli Oscar della musica, Billie Eilish ha cantato una canzone dei Beatles, e la “sorpresa” Eminem che ha cantato la canzone che gli è valsa l’Oscar nel 2003 non hanno levato un dubbio che già era stato sollevato almeno negli ultimi tre anni: ma che ci stanno a fare?
Bong Joon-ho ha la risposta, per coronare la sua storica vittoria, ma non siamo troppo sicuri che la pensino così quelli che hanno comprato pubblicità seconde come costi solo a quelle nella partitissima di football del Super bowl.