The Netflix Man

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Puntuali alle cinque di mattina per far contenti i programmi di esordio dell’East Coast ecco le nominations per gli Oscar annunciate da attori sconosciuti in Italia e non facili da riconoscere anche per chi non abbia il polso con Hollywood.

I mille e passa membri dell’Academy però hanno premiato lo streamer con ben 24 nominations in tutto, di cui dieci all’epico The Irishman di Scorsese. C’è da scommettere che porterà a casa ben più statuette che Golden Globes: garantisce Steven Spielberg, come si vedrà più avanti.

I front runner sono The Irishman, insieme al già supergettonato C’era una volta a…Hollywood di Tarantino, commedia-fumetto auto referenziale per Hollywood (si era previsto che piacesse) noir che è tutto genio “tarantiniano”. Prende dieci nominations.

Non importa la lunghezza assurda, non importa che il Maestro non si sia reso conto in un paio di scene che i cartelli stradali degli anni novanta non c’erano nel 1969, così come le avveniristiche torri di appartamenti sul Wilshire Boulevard.

Sony ha infatti coperto d’oro Quentin con un contratto unico nel suo genere sui copyright dagli effetti moltiplicatori.

Segue la triste Marriage Story (noto anche come “Distruggere una famiglia per un codice postale”), visto che si snoda intorno all’egocentrismo di chi antepone tutto al voler vivere in una città piuttosto che un’altra, con sei nominations (prodotto puro Netflix invisibile al cinema fuori da L.A. e New York). Segue Joker, e Joaquin Phoenix predestinato a ricevere la statuetta come miglior attore.

Da considerare l’epopea 1917, che non solo ha catturato l’attenzione dell’Academy per aver vinto due meritati Globes, ma che è anche uscito dal ghetto del prodotto di nicchia diventando il campione di incassi della settimana dopo i Golden Globes. Last but Not Least ecco Ford v. Ferrari saga molto americana, dove gli Yankee vincono e se lo meritano (nonostante le ottime performance dei nostri Francesco Bauco e Remo Girone), ma Christian Bale è stato snobbato a favore di candidature “tecniche”.

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Snobbato De Niro (troppo politicizzato), come miglior attore si distinguono oltre a Phoenix il prezzemolino Banderas (Onore e Gloria), e il sempre verde Leonardo Di Caprio, assente da almeno un lustro.

Più interessante il lato attrici. Scarlett Johnasson per la prima volta in 13 anni di Oscar è candidata come miglior attrice protagonista e non protagonista, mentre una menzione speciale va a Margot Robbie, candidata non protagonista come Sharon Tate in C’era una volta…
La scena in cui si presenta ad un cinema cercando di farsi riconoscere per entrare gratis (invano), e poi ride alle sue stesse battute sullo schermo merita un Oscar:

Tarantino ha colto (inavvertitamente si sospetta) una versione cinematografica dello “specchio delle mie brame”, che rivediamo giornalmente nei social media di milioni di “aspiranti Margot Robbie.”

Italia abulica nella categoria del miglior film straniero.
La storia di Buscetta in Il Traditore (tradotto pure male in Traitor quando dovrebbe essere Snitch o Turncoat) è troppo Made in Italy Mafia per interessare agli americani che avevano un prodotto - kolossal Made in U.S.A a disposizione con The Irishman, mentre sarebbe piaciuta la poesia che il bellissimo Honeyland della Macedonia del Nord (candidato come documentario e miglior film straniero) comunica allo spettatore e che meriterebbe di vincere.

ll front runner rimane invece Parasite del Coreano Bong Joon-Ho, candidato anche come miglior film e miglior regista; niente di meglio che parlare delle diseguaglianze in un paese al di là del Pacifico con attori dai nomi impronunciabili, per scordarsi che a Hollywood ci sono tanti “Parasites” quante le palme su Sunset Boulevard: tutti vogliono, strappare a quello 000,1 per cento che ce l’ha fatta tra tanti che ci provano qualcosa, perché a Hollywood il mitico “uno per cento” si riferisce al massimo agli attori di serie B.

Mentre gli streamers vogliono eliminare le royalties agli attori, il settanta per cento dei membri del sindacato (pur con le royalties) guadagna meno di 16 mila dollari l’anno lordi, cioè la metà del reddito medio USA e duemila dollari oltre la soglia di povertà nazionale (che non tiene conto del costo degli affitti californiani che è circa tre volte la media nazionale).

L’interrogativo più importante è solo uno: come mai così tante nomination a Netflix che non è uno studio “vero”, avendo la sede a Los Gatos, sobborgo noioso e monotematico (tutto alta tecnologia) di San Francisco, e sede a Hollywood in un palazzo che nelle Disney o Paramount ospiterebbe un solo dipartimento"?

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La risposta è lobbying, legalissimo e che risale ad una cena segreta (ma non troppo alla faccia del club “privato” ed “esclusivo” che si è ritrovato sulla stampa di settore e persino sul gossiparo New York Post) tra l’AD di Netflix Ted Sarandos (leggi qui).

Ospite di pietra, anzi di carta (moneta) il dollaro e tempistica perfetta: i due si sono incontrati al seguito degli Oscar vinti da Roma, e dieci mesi dopo, ecco i primi risultati che culmineranno il 9 febbraio se tutto andrà come da libretto.

Una velocità incredibile per Hollywood, città dove le attese sono pluriennali, ma non lo sa nessuno perché chi aspetta ancora spera sempre, e chi ha aspettato lo dice quando ce l'ha fatta per far vedere quanto è bravo, come Scorsese che ha sottolineato ci siano voluti dodici anni per The Irishman. Scorsese, che è stato meno impegnato a tessere reti diplomatiche di Spielberg dicendo che i film oggi sono esperienze da parchi di divertimento e facendo intendere che Netflix è il vero pigmalione per gli artisit come lui (leggi qui).

Un rischio notevole ora che pare esservi una Pax Spielbergana in una guerra senza esclusione di colpi.

Bisognerà vedere se l’Academy, ora ringiovanita, si ricorderà del periodo “aureo” di Hollywood quando i grandi studios avevano un monopolio assoluto su attori, produzioni e sale cinematografiche, che solo la Corte Suprema poté cambiare dopo decenni nel 1948. Per i più giovani basta ricordare che Uber, tanto conveniente, osannato e comodo cinque anni fa, ora costa il 20% in più dei taxi gialli di New York che sono diminuiti del 20 percento e che un Uber durante una nevicata carica 20 dollari a isolato.

Con le decine di milioni di ingaggi Scorsese questi problemi non li ha. Ma chi ama andare al cinema invece di star chiuso a casa stravaccato (ed anche chi vuole stravaccarsi ogni tanto) forse dovrebbe pensarci perché se Netflix vince, al cinema si andrà quanto oggi si vanno a vedere rappresentazioni teatrali d’avanguardia.

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