C’era una volta… Netflix

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Alla fine i “pezzi da Novanta” della Hollywood Foreign Press Association, novanta giornalisti stranieri (una mezza dozzina italiani), hanno emesso il loro augusto verdetto in venticinque categorie sia nel cinema che nella televisione. Lasciando da parte la televisione, le previsioni sono state rispettate ma come sempre fino ad un certo punto.

Innanzi tutto non c’è stato il solito asso piglia tutto, il film che si sa già deve vincere diversi premi. Poi, Netflix non ce l’ha fatta e questa è la notizia importante di domenica. Sia The Irishman che The Two Popes sono rimasti al palo.

Hanno invece vinto film “veri”, passati al cinema non per una settimana, con budget "veri” non il “fate quello che volete” degli streamers e che non vedremo dal divano, salvo comprare un antiquato DVD o scaricandoli tra qualche mese.

Niente Globe per Margot Robbie, eppure era nervosa come una qualsiasi aspirante sul red carpet…

Niente Globe per Margot Robbie, eppure era nervosa come una qualsiasi aspirante sul red carpet…

Ha, soprattutto, vinto la vecchia Hollywood, quella celebrata dal genio pazzoide di Quentin Tarantino che porta a casa il premio per miglior sceneggiatura e miglior commedia, dal fascinoso Brad Pitt sparito per anni e tornato per il Globe da vincitore come attore non protagonista con il sorriso da simpatica canaglia dopo quindici anni (a differenza di Reneé Zellwegger vincitrice come miglior attrice dopo altrettanto tempo, ma tanto acida quanto "tirata”).

Un inizio a sorpresa per la stagione dei premi che durerà fino al fatidico nove febbraio con l’apice delle Statuette (quest’anno è una stagione più breve del solito).

Gli Award sono come una serie di fiere campionarie all’ennesima potenza per il talent di Hollywood, ed i Golden Globes, insieme agli Oscar ne costituiscono il nerbo.

Nessuna sorpresa per il miglior film straniero, Parasites della Corea, mentre l’Italia non ha visto ancora una volta nulla (tutte le speranze sono su Paolo Sorrentino - ma non aveva già vinto con La Grande Bellezza cinque anni fa? - per il 2021 e Il Giovane Papa su HBO) dimostrando di essere sempre più ai margini anche nella cultura. L’Association (con A la maiuscola) ha pensato bene di prevenire i soliti articoli di pubblicità negativa riuscendoci solo in parte (Leggi qui) con l’ingaggio del volgarissimo Rick Gervais come presentatore.

Mercatone del Talent: il Red Carpet

Mercatone del Talent: il Red Carpet

Il comico inglese ha affidato al suo humor molto crasso americano, e poco british nonostante l’accento, una serie di battutacce: dall’incoraggiamento ai presenti ad evitare uscite politiche “prendetevi ‘sto premio andatevene fuori dai c…..” (non tutti gli hanno dato retta, tra questi Patricia Arquette e Michelle Williams), al ricordare senza mezzi termini che Harvey Weinstein “l’avete creato voi, mica io.” Un modo un po’ pesante per dire che il #metoo è scomparso, la notizia che a New York comincerà il processo Weinstein è passata quasi sotto silenzio, mentre Kevin Spacey è uscito pulito come un fischietto dalle accuse di molestie.
Meglio anche per la HFPA che aveva un po’ faticato a giustificare il Globe a Silvester Stallone nel 2018 (anche lui travolto dagli scandali, poi zittiti).

Quindi, che la festa cominci in un trionfo di vestiti e di colori nell’inverno-primavera californiano.

Scorsese e De Niro rimangono a bocca asciutta con The Irishman: il miglior film drammatico è 1917, pellicola di guerra entrata nel novero dei canditati per il rotto della cuffia, con attori non noti, e che deve aver faticato non poco ad andare in produzione anche se diretta da un regiStar come Sam Mendes (che ha rischiato il tutto per tutto filmando in presa diretta due terzi dell’opera), altro messaggio al cinema “vero” non inscatolato per un televisore.

Joaquin Phoenix più controllato al party della Warner Brothers

Joaquin Phoenix più controllato al party della Warner Brothers

Come altrettanto vero è il Globe a Joaquin Phoenix, miglior attore drammatico con l’inquietante Joker, dove l’unico dubbio è se il protagonista non abbia interpretato sé stesso.

Phoenix è infatti salito sul palco chiaramente sotto l’effetto di qualcosa, nel mutismo assoluto dell’audience, quasi fosse un gruppo di catechismo protestante in Texas.

Hollywood è poco propensa a confrontarsi con le sue debolezze in pubblico, salvo che si tratti di un’eulogia.

Alla fine l’HFPA ha fatto il suo dovere, fornendo ottimi party (tutti in loco nell’enorme e vetusto Beverly Hilton di proprietà americana e ora circondato da palazzi di proprietà cinese) e scatenando la corsa alle previsioni per gli Oscar: dopo tutto è un’organizzazione simpatica (per il solito americano medio gli stranieri, specie se europei, sanno godersi la vita meglio degli americani - nessuno crede che esistano persone che lavorano fino alle nove di sera in Italia!), cosmopolita, multiculturale e globale, e che pubblicizza Hollywood nell’immaginario del mondo… oltre che fornire a migliaia di membri dell’Academy - che non saprebbero neppure dov’è il cinema più vicino a casa loro - uno spunto per non votare “con i piedi”, o peggio non votare proprio!

C’è infatti un altro protagonista, dietro ai pecadillos delle feste dei Golden Globes dove le star stanno una media di 15 minuti, e sono rapidamente sostituiti da un nugolo di wannabe, impiegati di concetto degli Studios per i quali quella è la festa dell’anno, agenti, manager, modelle che sperano di diventare attrici per non sposare un ricco dentista, e signore rotondette che prendono le vere decisioni del casting.

Il protagonista è il sistema auto-celebrativo di Hollywood che non regge più, anche se un film auto-celebrativo però ha vinto più di tutti a scapito dello Studio virtuale anti-Hollywood per eccellenza.

Come è possibile che qualsiasi reality sia giudicato in maniera interattiva, mentre opere cinematografiche planetarie ricevono premi (Oscar, Golden Globes e chi più ne ha più ne metta nella Award Season, salvo il mediocremente gettonato People’s Award) sulla base delle decisioni di un numero di persone pari, al massimo, ai potenziali followers che ha una qualsiasi universitaria americana?

Questa la sfida per i Golden Globes (e gli Oscar che dovranno seguirli) del futuro, adattarsi ad un sistema di visione dei film e di votazione davvero planetario: ma che continuino i party, sia perché sono spesso divertenti, che per dare la possibilità a questi poveri attori di trovare lavoro con qualche contratto scritto su un tovagliolo di carta.

Remember when: i Golden Globes del 1950

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