The Irishman and the Endeavor Man

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Hollywood è stata scossa da due terremoti la settimana scorsa: il primo di natura artistica, l’altro di natura business.

Giovedì, al New York film Festival, prima di The Irishman di Martin Scorsese: Netflix ha fatto un salto di qualità e si lancia verso gli Oscar dopo la “prova” riuscitissima di Roma, Oscar, ma solo come miglior film straniero e miglior regista.
Attesissimo il film-saga (oltre tre ore e mezza, probabilmente per trasformarlo in una mini serie in un futuro non troppo lontano) sul sindacalista (scomparso nel nulla) Jimmy Hoffa e le presunte responsabilità di Cosa Nostra nell’assassinio di John F. Kennedy, attraverso la vita di Frank Sheeran, mafioso irlandese, ma affiliato con gli italiani dopo aver imparato la lingua combattendo in Italia nel secondo conflitto mondiale.

L’io narrante è il solito magistrale Robert De Niro come in Casinò: bravissimo, ma che è scivolato sul suo odio viscerale per Trump, quasi si trattasse di un affiliato avversario, e che ha usato le interviste sul film come piattaforma per scagliarsi contro il presidente, con una serie di Fuck them indirizzati alla Fox.

Ma, di Casinò, questo film ha poco o nulla, salvo De Niro e Joe Pesci, entrambi in vesti diversissime, e manca l’ormai dimenticata Sharon Stone; dimenticata, salvo che in Italia dove, a differenza di Hollywood, a sessant’anni si è ancora giovani ed il paese vive di ricordi (“Remember when” is the lowest form of conversation diceva il compianto James Gandolfini come Tony Soprano).

Infatti De Niro narra la sua vita passata remota “riempita da dolore ed errori”, dando al racconto un tono di tragedia passata su cui non è possibile alcun rimedio; e Joe Pesci non fa lo psicopatico, come succede anche in Quei Bravi Ragazzi, ma il capo di tutti i capi, tanto calmo quanto spietato.

Al Pacino propone un’interpretazione nuova, esattamente l’opposto di come ce lo siamo immaginato, vicino al Joe Pesci che tutti conoscono, ma a modo suo: rimane il migliore Jimmy Hoffa, pazzoide e imprevedibile fino all’autodistruzione. Anche perché De Niro veste i panni di un personaggio di secondo piano in una storia mafiosa, e la sua “non-italianità” non riesce a renderlo primo protagonista quanto Ray Liotta in Quei Bravi Ragazzi.

Il film si snoda su un periodo di decine d'anni, con effetti assolutamente nuovi per mostrare le varie fasi della vita dei protagonisti.

Al Pacino e Robert De Niro ringiovaniti dal software magico della Lucas Film

Al Pacino e Robert De Niro ringiovaniti dal software magico della Lucas Film

Si uniscono, in modo perfetto, un trucco da Oscar e gli effetti digitali de-aging (non antiage, quelle sono le creme!) brevettati dalla Lucas Film.
Sarà interessante vedere se la candidatura andrà al trucco o agli effetti speciali.

Oscar material sicuramente per Scorsese e per Netflix, che dovrà mostrare il film, sebbene in visione limitata, nelle sale cinematografiche, per poter aspirare a qualsiasi statuetta.

Un terremoto di ben altro tipo quello che si stava consumando a Wall Street mentre gli spettatori entravano alla prima di Scorsese. Il fallimento del debutto, previsto venerdì alle sei e trenta di mattina West Coast (l’ora delle conferenze stampa delle candidature Oscar, ma questa era tutt’altro che una buona notizia) della quotazione in borsa della Endeavor, la maggiore agenzia di talent Hollywood, che si è ritirata da Wall Street ancor prima di entrarci per “condizioni di mercato sfavorevoli”, dopo aver abbassato il prezzo della quotazione del 40 percento dall’annuncio iniziale.

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La paura di una recessione è arrivata anche a Hollywood, e la vittima è illustre.
Endeavor è l’unica agenzia che ha investimenti in campi così diversi come le leghe di pugilato, i servizi di streaming, e la produzione (il blocco del sindacato degli scrittori contro tutte le agenzie per fare il talent partecipe degli onorari milionari di produzioni collegate allo sfruttamento a 360 gradi delle pellicole continua, ed Endeavor non è riuscita ad arrivare in capo a nulla).
Ma, soprattutto, Endeavor è la creatura di Ari Emanuel, conosciuto come il Re Mida delle agenzie, avendo fondato Endeavor senza clienti nel 1995, fino a fagocitare la madre di tutte le agenzie, la William Morris, nel 2009, e tanto noto da essere utilizzato come ispirazione di Entourage, un serial di grande successo nei primi anni 2000 su HBO.

Ma, per incantare Wall Street ci vuole altro. Guardando ai numeri del business scevri del glamour factor, gli spietati banker di Goldman Sachs e soci, bianchicci e poco sorridenti, a differenza dei managers di Beverly Hills, abbronzati e con trentadue denti perfetti sempre in mostra, sono rimasti poco convinti.

Gli uffici della Endeavor ad un passo dallo shopping di Rodeo Drive

Gli uffici della Endeavor ad un passo dallo shopping di Rodeo Drive

Endeavor rimane malamente diversificata, con debiti notevoli e con piani troppo vaghi per diventare una entertainment company a tutto tondo, e quindi non quotabile “di questi tempi”.
Atmosfera da funerale, specie tra gli ex William Morris, che si erano fatti comprare dieci anni fa scommettendo sul mago Ari, e pensando di diventare ricchi con una quotazione.

Invece, Oh shit, it is not happening si dice che qualcuno abbia urlato sbattendo giù il telefono negli uffici mega galattici di “WME” (come è conosciuta a Hollywood) nel GoldenTriangle, la zona di Rodeo Drive da dove Ari & Co. dominano il mondo dello spettacolo.

Poi, bisogna farsi vedere di nuovo sorridenti a trentadue denti durante il lunch al solito Grill on the Alley o E. Baldi dietro all’ufficio, magari ordinando un’insalatona da trenta dollari in due perché “di questi tempi”…