Ch'Emmy frega?

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Passati gli Emmy, l’Oscar della televisione, e nessun post: come è possibile?

Innanzi tutto, sono d’accordo con il sottoscritto milioni di americani che non si sono sintonizzati su uno spettacolo modesto (mancava persino un presentatore, rimedio sicuro per evitare battute politicamente scorrette) portando l’audience al punto più basso di sempre.

E poi, c’è poco da dire per una serie di ragioni: la prima è che la televisione rimane il minimo comune denominatore del già basso denominatore di Hollywood. Poi, è praticamente impossibile fare alcunché di artisticamente rilevante (per un Festival serio non per altro) dato che in USA i programmi della televisione (e la maggioranza degli sport, ecco perché appaiono noiosissimi) nascono con un “contorno” obbligatorio, e non sostituibile, come nel 90 percento dei ristoranti americani, dai diner più orridi a quelli di quasi lusso (in realtà si può cambiare tutto: basta pagare per il contorno che non si vuole, dicendo di non metterlo sul piatto e buttarlo via, e ordinarne un altro pagandolo!).

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Quel contorno si chiama pubblicità’, insopportabile e monopolizzata dalle case farmaceutiche sui canali in chiaro, e solo diversa perché comprendente anche automobili e cibo immangiabile per gli altri canali.

Poi abbiamo gli streamers, che si sono moltiplicati dopo i soliti Netflix, Amazon e Hulu e che comprendono Apple, come NBC (canale in chiaro) e Disney (studio cinematografico) e che offrono un altro sistema per rendere grassi, immobili e strascicanti coloro che non hanno abbastanza forza di volontà: il cosiddetto binge watching.

Il termine è preso a prestito da chi si abbuffa e generalmente vomita subito dopo: ben diverso dal termine italiano “maratona” che evoca uno sforzo atletico per qualcosa che di atletico non ha nulla.

Così, uno può vedersi un’intera stagione (o due o tre) del solito vincitore Game of Thrones per non rimanere indietro, non sapendo che, come le telenovele degli anni ‘80, tutte le serie televisive sono fatte per essere capite nel giro di una puntata anche da chi abbia fatto solo la quinta elementare (americana!).

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Organizzazioni come Netflix, infatti distinguono chiaramente le produzioni cinematografiche (la saga mafiosa di The Irishman di Martin Scorsese che avrà la sua prima a New York questa settimana uscirà a novembre al cinema) dai serial come la solita Narcos con i latino americani cattivi e crudeli.

A quando, invece, una serie sulla coltivazione dell’oppio che in 20 anni gli americani e la NATO in Afghanistan non sono riusciti a ridurre minimamente?
Mai, perché mancano gli afgani (umani non canini) su cui creare pregiudizi a uso e consumo del Binge Watcher in Ohio o posti simili.

Le serie televisive (mini e non) valgono la pena di essere ricordate solo per il contributo alla decadenza che già procede a ritmo serrato dell’Impero Americano.

La mini serie Chernobyl, sarebbe l’unica eccezione, ma è fatta da inglesi e gioca su due fattori squisitamente americani: in USA il 1986 è storia remota (come potrebbe essere la Prima Guerra Mondiale in Europa) e, soprattutto, quel disastro in USA ebbe un eco pari ad un uragano in Texas su un agricoltore finlandese, insomma non se lo ricordava più nessuno.

Per le altre candidature rimane poco, perché i programmi di varietà come Saturday Night Live, e i talk show della notte si sono ridotti (a seconda delle settimane) in parodie della amministrazione Trump o rabbiose invettive contro la stessa, per la gioia dei telespettatori di Los Angeles e New York, l’astio di quelli in Nebraska o Arizona e la rovina quasi certa del Partito Democratico nel 2020, con conseguenze stile Chernobyl per gli Stati Uniti come leader del mondo occidentale.

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Tiriamo un sospiro di sollievo. I party sono finiti, ed un po’ malinconicamente: quello di Amazon allo storico Chateau Marmont ostentava una nutrita compagine di segretarie degli Studios raramente invitate ai post-Oscar o post-Golden Globes,. Concentriamoci sul prossimo binging, ma di premi mai sentiti, eppure ingredienti necessari per la corsa agli Oscar.