Cannes: senza Netflix, Italia latitante e tutti pazzi per Elton John

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A meno di un mese dall’apertura di quello che rimane il festival del cinema par excellence, Netflix è stato escluso (si sperava in un accordo per un’anteprima mondiale di The Irishman di Martin Scorsese, ma non ne è stato fatto nulla), anche perché le rigidissime regole francesi che richiedono tre anni di intervallo dalla prima cinematografica alla disponibilità in streaming rimangono.

Quindi il pubblico e la giuria presieduta dalla leggenda Alejandro G. Iñárritu dove troviamo l’ingiustamente snobbato (agli Oscar) Pawl Pawlikowski, Guerra Fredda, dovrà accontentarsi di film “veri” a partire da Rocketman della Paramount su Elton John, che si annuncia come una versione meno documentaristica di Bohemian Rapsody e su cui la casa della montagna spera per risollevarsi da un anno fino ad ora poco fausto; interessante anche l’horror The Dead Don’t Die in predicato di essere il film inaugurale. Mancherà invece Quentin Tarantino con Once Upon a Time in America, ancora in post production (più complessa in quanto girato in 35mm e non in digitale). Gli americani chiudono con A Hidden Life di Terence Malik (in competizione), Tommaso di Abel Ferrara (proiezione speciale), Bull di Annie Silvestein, The Climb di Michael Covino, e Port Authority di Danielle Lessovitz (tutti debuttanti nella sezione un certain regard).

Non male in confronto all’Italia che, pur annoverando la nostra Alice Rohrwacher (già vincitrice del premio per la migliore sceneggiatura a Cannes 2018) nella giuria, ha un solo titolo Il Traditore di Marco Bellocchio (poche speranze dal trailer) e il, più americano che italiano, Tommaso. di Ferrara.

Nessun grande paese europeo (lasciando anche da parte la Francia che gioca in casa) ha un’impronta così debole sul festival più importante dell’anno e con un regista forse leggendario ma francamente troppo anziano per il 2019 (il presidente della giuria potrebbe essere suo figlio!)

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Cannes ha privilegiato horror e amore, quasi un gioco degli opposti e di idiosincrasie, e ha dato molto spazio alle donne (tredici film di registe), annunciando anche una palma d’oro onoraria a uno che di donne se ne intende, Alain Delon (per cosa, mi sfugge), forse per comunicarci che l’autoironia ai sempre bistrattati francesi (specie da noi italiani, a nostra volta snobbati dai cugini d’oltralpe) non manca.

E i party? Ancora presto per dirlo. Al di là del solito tappeto rosso per le proiezioni, ne verranno organizzati a dozzine: da quelli invisibili ai più su yacht nella Baie des Anges, al solito blindatissimo all’Eden Roc che spera di recuperare il suo glamour dopo l’appannato AMFAR Gala del 2018 senza Harvey Weinstein, ad una miriade di soiree che per due settimane mobilitano Hollywood e le mini hollywood europee e mondiali sulla Riviera.

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Ma l’atmosfera di L.A. la farà da padrone anche a diecimila chilometri di distanza. Una delle cose più bizzarre di Cannes, infatti, è essere circondati dalle stesse facce che uno vede in giro per Beverly Hills, ai breakfast dei Trades (le riviste di settore) o semplicemente passeggiando nel “Golden triangle” dei negozi di griffe e dei chirurghi plastici, quando gli agenti del talent delle firm top Creative Artist Agency, William Morris Endeavor e United Talent Agency sono in giro per andare ad importantissimi lunch dove i contratti si chiuderanno su note scritte su un tovagliolo di carta o un sottobicchiere.

Bonne chance a tous!

Duccio Mortillaro