Storie di Parties e di “cool factor”
Tre party in una settimana: si avvicinano gli Oscar e mentre i più intellettuali nel business celebrano altri intellettuali in una Berlino invernale (che non dispiace a chi predilige il dark chic), L.A. festeggia l’arte di superavanguardia con il suo primo Frieize (Londra e New York sono conosciutissimi), nel magnifico campus della Paramount, la grand dame demodé ma sempre chic degli studios.
Il primo è il giorno prima dell’apertura di Frieze, ed è un vernissage per la nuova collezione Oliver Peoples (marchio Luxottica, ma curato da uno staff ultra artistico e creativo basato a LA), e del modello Oliver..
Qui il cool factor è così alto che (forse anche per il tempo freddo e piovoso) ci vuole il cappotto.
Oliver Peoples ha presentato ritratti di personaggi più o meno artistici e d’avanguardia che indossano la nuova linea. La fotografa è nientemeno che Tasya van Ree, sconosciuta fuori dagli USA ai non addetti ai lavori ma qui quotatissima. Si notano non più di una mezza dozzina di “regolari” che fanno il loro meglio per apparire a loro agio in un parterre di personaggi che farebbero invidia a Hollywood Party con Peter Sellers.
Si sprecano i mantelli, i look pansexual (se uno non sa cosa significhi è sicuramente troppo regolare), e si notano tra gli altri una tipa/tipo che sembra un lottatore di sumo, una signora ingioiellata molto Park Avenue con “amichetta” della metà dei suoi anni con mezza testa rasata, mezza no; artisti e artistoidi tatuati sulla faccia che incuriosiscono quanto una bracciale di Tiffany ad un party “mid-level” a Milano; e poi, una booker di modelle italiana che fa finta di parlare solo inglese con due amici a rimorchio, uno sperduto, l’altra che cerca di capire cosa potrebbe tirar fuori dal party (con limitati risultati, circondata come è da professionisti del “what’s in it for me”); e poi modelle “da sfilate” (altezza oltre 1.80, colli lunghissimi, magrezza trasparente e soprattutto look trascurato senza trucco e vestiti comprati al mercatino dell’Esercito della Salvezza), baristi-attori (drink ottimi, ma niente cibo, qualsiasi cibo fa ingrassare quindi va evitato).
I soggetti delle foto (non tutti sono presenti) distribuiscono saluti dall’alto della loro scontata (per alcuni) o ritrovata (per altri) notorietà. Ce ne andiamo all’inglese (io ed una delle celebrità fotografate dalla van Ree quando il DJ ha iniziato a proporre un “funk-elettronico anni 70” che come in tutti i party americani ha mosso pochissimo gli astanti: infatti si rimane in piedi a chiacchierare o per chi è più timido, ad armeggiare con il telefonino.
Il secondo party é in realtà una prima cinematografica al cinema della Paramount, nella serata inaugurale di Frieze.
La location ha un cool factor irraggiungibile: dagli archi in stile “mediterraneo-americano” che esistono dagli anni venti e sono stati visti in migliaia di film, da Sunset Boulevard negli anni cinquanta a I protagonisti (The Player) negli anni novanta.
Il film è presentato da Gucci grande sponsor di Frieze a NY. Il brand ormai lanciatissimo nello spazio “art-funk-stupisci” anche se con un paio di incidenti da “cool factor fuorigiri(" tipici di chi vive in una bolla creativa) quali la dolcevita razzista e le scarpe “finte trasandate” così realistiche che sembrano davvero da buttare.
Il cortometraggio Black to Techno diretto da Jenn Nkiru sulla musica techno a Detroit, città dove si “parla” solo , rap, hip hop e funk (e dove già il commercialissimo Eminem aveva fatto scandalo perché bianco, e pure bravo), appartiene alla stessa categoria delle scarpe Gucci troppo transandate.
Così cool (anche se la platea non è certo quella di Oliver, piuttosto ricorda i protagonisti del documentario meno le sosia di Naomi Campell), che uno si chiede cosa avessero fumato mentre riprendevano scene strascontate (i quartieri abbandonati della capitale dell’auto USA), seguite da inquadrature di forte impatto (i DJ techno in una fabbrica di rulli d’acciaio); e da un bizzarro tipo che ricorda nello stile e nelle parole in libertà il famoso Kayne West (rapper che non ride mai sposato ad una Kardashian), anche se uno sospetta sia un barbone pescato a caso e scritturato per il film.
Stupisce la mancanza di un party con catering post film: le porcherie distribuite gratuitamente (pop corn, Kit-Kat, M&M’s, bonbon al burro di noccioline) non erano all’altezza, neppure se insieme al bar in funzione prima e dopo il film.
Insomma cool factor alto anche qui ma gli si sono bruciate le ali come a Icaro.
Il terzo party. Beh, del terzo party faccio vedere la locandina: non ci sono andato perchè ero fuori LA. La domenica del party è infatti nel mezzo di uno dei pochissimi lunghi weekend in USA (il prossimo a metà maggio-il precedente era il Thanksgiving a Novembre). Tra la gaffe temporale (come fare un’inaugurazioe in Italia il 25 aprile e la conferenza stampa il primo maggio!) e lo stile del volantino che ricorda una svendita di mobili forse devo considerami fortunato: mi si sarebbe abbassato il cool factor sotto i minimi!