E l’Oscar va a... (ma importa ancora davvero?)
Oscar senza presentatore per la prima volta, dopo il no di Dwaye “the Rock” Johnson, eroe di film d’azione che era impegnato sul set, e dopo che lo sconosciuto (in Europa) Kevin Hart è stato licenziato a seguito della scoperta di twitter omofobici dei primi anni 2000. Ma con almeno quaranta star che hanno presentato le ambitissime e ormai quasi simboliche statuette: secondo la rivista specializzata Hollywood Reporter infatti i cachet degli attori registi e produttori non aumentano più esponenzialmente grazie alle preziose statuette.
Nessuno ha sentito la mancanza di un anfitrione (è la prima volta in cinquant’anni): qualche milione risparmiato per i futuri Oscar. Ma si è sentita la mancanza di qualsiasi suspense.
Dopo un tappeto rosso senza particolari avvenimenti (salvo la mise inspiegabile di Billy Porter), è iniziata la kermesse più famosa di Hollywood.
Trasmissione fiume, oltre tre ore, ma poca verve ed un’esagerazione del politicamente corretto che, insieme alla scarsità di veri capolavori, ha fatto di questi Oscar i più noiosi del recente passato: ai “viewing party” c’era chi pregava per un colpo di scena come quello del 2017 con l’annuncio del vincitore sbagliato!
L’Oscar (oltre alla noia a livello della Corazzata Potemkin di fantozziana memoria), si è detto, va al politicamente corretto.
Gli attori e celebrità non bianchi sono stati tanti, hanno fatto un buon lavoro, ma non sono riusciti a dare quel messaggio di “unione universale” che Hollywood ha da sempre voluto propagare. Questo ha reso la presentazione spesso contrita, molto artificiale e a tratti tragicomica.
Il culmine? Barbra Streisand: non ha consegnato nessuna statuetta a Lady Gaga che ha meritato il premio per la miglior canzone, Shallow, da È nata una stella interpretato dalla stessa Barbra negli anni settanta.
Invece, Barbra si è lanciata in un particolare messaggio di fratellanza “siamo tutti e due di Brooklyn” rivolto a Spike Lee.
Peccato che solo gli italo americani abbiano minore simpatia degli ebrei per i neri nel quartiere dormitorio di New York (ora a tratti cool): forse Barbra parlava di colleganza, nel senso di attori e registi multimilionari di Brooklyn… e allora sì, perché non c’è nessuno salvo loro due!
Ma a quel punto della serata ormai il fiume impetuoso del politicamente corretto aveva già travolto tutti: dalla vincitrice come attrice non protagonista Regina King, che aveva iniziato con un monologo quasi spiritual per ringraziare, al miglior attore non protagonista Mahershala Ali (Green Book), vestito come un Black Panther, al culmine di Spike Lee, che nel ritirare un premio (migliore sceneggiatura non originale per BlackkKlansman) insieme ad altri due autori bianchi, dopo aver (giustamente) ricordato che febbraio è il mese in onore della storia degli Afro Americani, ha poi denunciato “l’olocausto del popolo africano” schiavizzato dagli americani con evidente imbarazzo degli altri vincitori.
Poi Spike è tornato contento al suo posto sfoggiando due anelli a quattro dita (che sembrano tirapugni) con la scritta “odio” sulla mano destra e “amore” sulla sinistra. In quei momenti si è sentita la mancanza di un anfitrione a sdrammatizzare con una battuta.
Invece, l’intervento (per presentare il ricordo degli artisti scomparsi) del presidente dell’Academy che, purtroppo per lui, sembra un contadino bianco del Mississippi in salopette che parla per improperi razzisti, ha reso quel segmento ancora più bizzarro e stonato (benvenuta pubblicità!).
Nessuno degli attori di Roma ha vinto nulla, eppure sono Latinos e una minoranza.
No, per una semplice ragione: sono messicani del Messico, quindi non possono essere considerati dei poveretti maltrattati dai bianchi anglosassoni, si rivolgano alle autorità competenti del loro paese.
Bravo qui, Alfonso Cuaròn, a ricordare il tema dello sfruttamento della manodopera domestica che dovrebbe trascendere ogni razza.
E i film? Rimane intatto il record di Roberto Benigni, che è stato l’ultimo miglior film straniero a vincere anche come miglior attore oltre venti anni fa.
Infatti Roma (miglior film straniero, migliore cinematografia e miglior regista per Alfonso Cuaròn che solo allora ha ringraziato in spagnolo) non ce l’ha fatta, e la più ambita statuetta è andata a Green Book, miglior film e storia vera di un pianista nero e del suo autista Italo americano in tournée nel profondo Sud della fine degli anni sessanta, ed i temi del pregiudizio e dell’amicizia.
Meglio If Beale Street Could Talk sullo stesso tema del pregiudizio e della vita dei neri americani in una società che ancora adesso non riesce ad essere “color blind”, senza essere in color overdose.
Non aveva speranza È nata una stella, gli attori sono troppo “white bread” (americani anglosassoni) anche se Lady Gaga ha le sue origini italiane stampate nei tratti mediterranei che si porta.n
Nessuna speranza neanche per l’eccezionale Vice. Ma Bush Junior e il diabolico Dick Cheney, interpretato magistralmente da Christian Bale, sono dei chierichetti in confronto a Trump e quindi sono finiti relegarti all’Oscar per il trucco, onde evitare che si pensi che i repubblicani siano (stati) qualcosa di diverso dell’attuale presidente.
Bohemian Rhapsody porta a casa quattro statuette ma quella più importante è miglior attore per Rami Malek, che ha ricordato in modo elegante le sue origini egiziane (una sorta di Mahmood americano, ma essere egiziano qui non fa notizia).
Spike Lee americano da generazioni ha molto da imparare da un americano di prima generazione. Infatti il regista politicamente impegnato non ha certo fatto “la cosa giusta”: ha cominciato a gesticolare stizzito mentre cercava di abbandonare la sala quando è stato annunciato il vincitore del miglior film (troppo poco “afroamericano” secondo lui), in un’altra dimostrazione di classe e bon ton a modo suo.
La sorpresa maggiore è venuta dalla migliore attrice Olivia Colman di La Favorita che, forse per non voler essere presa per una snob con il suo accento British, ha voluto ricordare che faceva la donna delle pulizie tra un provino e l’altro; tutti si aspettavano Glenn Close.
Io ho fatto il tifo per Yalitzca Aparicio di Roma, che ha trovato l’America in Messico quando è stata scelta per caso (aveva accompagnato la sorella al provino).
Alla fine però, come ed ancora di più dei Golden Globes, gli Oscar, sebbene votino 6500 e più membri dell’Academy (contro i novanta giornalisti dei Golden Globes), sono malati.
In un mondo dove chiunque può diventare famoso o fingere di esserlo su Instagram, gli Oscar risultano ancora più passé di Facebook con i teenager, e i quindici minuti di fama per tutti li hanno resi una magnifica autocelebrazione di una Hollywood del tempo che fu: quasi un film in bianco e nero come Roma.
Non potranno mai diventare un altro X Factor, ma sicuramente dovranno essere aggiornati: a cominciare dai presentatori.
Non dimentichiamo i party! Si parte dal “Ballo del Governatore”. In inglese “Governor Ball” ha un suono più prestigioso e sa di debuttanti nel vecchio Sud, anche se invece si svolge in un salone all’interno del Dolby Theater: lì viene fatta l’incisione personalizzata sulle statuette che, quando sono consegnate, portano la categoria e non il nome del vincitore.
Poi, al party di Vanity Fair! Un must, ma “gentilmente obbligatorio” per i vincitori su consiglio di agenti e manager, che si svolge nel modernissimo teatro di Beverly Hills, ex ufficio postale degli anni trenta.
Ma il party più esclusivo (e quello a cui andare per diletto) è quello ospitato da Madonna nella villa del suo manager israeliano Guy Oseary nelle colline di Beverly Hills, dove si favoleggia di canzoni cantate impromptu dalla signora Ciccone che pare riceva gli ospiti scalza.
Anche il rapper Jay-Z non è da meno, con un mega party al famoso Chateau Marmont, l’albergo sul Sunset Boulevard dove Marilyn aveva una suite e dove da lunedì mattina sarà nuovamente possible avere una stanza nella speranza che ci sia passato oggi uno dei vincitori.
Mentre i pendolari a LA si godranno una mattinata senza traffico, e tutti i più esclusivi ristoranti saranno prenotabilissimi almeno per un giorno, e i manager della ABC che ha trasmesso in mondovisione si domanderanno chi verrà licenziato (le proiezioni danno l’audience di poco superiore a quella dell’anno scorso, la peggior performance nella storia moderna degli Oscar in TV).