Sunset Lollo Boulevard
Forse pochi si ricordano Sunset Boulevard (Viale del Tramonto) capolavoro di Billy Wilder del 1950 che descrive la caduta di una star del film muto marginalizzata dall’avvento del sonoro:
Gina Lollobrigida arriva a Los Angeles per promuovere un futuro documentario sulla sua vita, purtroppo non diretto dall’equivalente di Billy Wilder, (a cui Gina nostra consegnò l’Oscar per L’appartamento nel 1961), oltre che presenziare ad un festival del cinema. Uno dei trecento poco o molto noti che si svolgono a Hollywood ogni anno. Ma il sapore dei mitici tempi dello Studio System non si sente.
Invece, l’atmosfera alla serata all’Istituto di Cultura italiano dove si svolgono le proiezioni non è quella da “people who make the movies” dei tre Oscar vinti da Sunset Boulevard, ma piuttosto quella un po’ passé di un festival con film sottotitolati mai sentiti (ma in Italia al cinema non vado), che ben si sposano a un paese che ha perso la guerra fredda senza averla combattuta - la nostra Italietta ancora lontana dal prodotto pro capite di quel glorioso 1991, quando era un’economia più forte di quella californiana.
Per fortuna gli americani vedono di meno queste mancanze. O ne sorridono, perché per loro l’Italia è ancora quella degli anni cinquanta della Dolce Vita, e non un paese europeo e moderno.
A 91 anni la Lollo sembra reciti qualsiasi cosa dica, e riceve un premio, ma non da maschera tragica come la protagonista di Sunset Boulevard, e per questo non fa notizia. Invece, emana un fascino sornione che ricorda una versione “andreottiana” della Dolce Vita. Si capisce che ha avuto bellezza, fama, forse potere, ne ha viste di tutti i colori, e sa che anche il suo viale del tramonto è finito da un pezzo. Ma, incoraggiata dal manager trentenne (dopo un ex marito ora ultra cinquantenne), c’è; e farà questo documentario.
Quali le probabilità di successo? Sempre secondo il manager che spinge questo progetto, tante. Se si guarda all’Italia dove anche con l’avvento di Netflix è difficilissimo fare cinema, non saprei.
In USA le cose stanno diversamente, bisogna raccontare una storia che piaccia all’immaginario americano sull’Italia; e la Dolce Vita è un argomento perfetto. Quindi, ecco il viaggio e la promozione a LA, che aiutano anche a vendersi nel Bel Paese.
Il punto è, però, che l’America e Hollywood sono giovani e giovanilisti per definizione, e ci sono icone che potrebbero far meglio: Joan Collins ha una figlia che potrebbe essere co-protagonista di un ipotetico documentario e si è dimostrata inossidabile ai Golden Globes un mese fa: passava da un party all’altro, come una trentenne, a “soli” 85 anni! La Lollo, invece, è sola, e il manager che potrebbe essere il futuro fidanzato fa poca presa in un paese ancorato ai costumi puritani, almeno nelle apparenze.
Ma l’ispirazione potrebbe venire dal sofisticato (per Hollywood) ricevimento post proiezione nella villa di un miliardario sudamericano con un debole per l’Italia e una collezione di arte moderna dal gusto discutibile, e comunque prestigiosa. Spettacolari gli invitati: star degli ottanta in disarmo fisico e mentale, attricette poco più che ventenni già maestre della vacuità calcolata losangelina di chi cerca una parte ventiquattro ore al giorno, miliardari sconosciuti al grande pubblico qui ignorati da tutti; e poi, il noto produttore di film “commerciali” Avi Lerner circondato da sicofanti e aspiranti, giornalisti dei soliti “Trades”, le testate specializzate nel business dell’intrattenimento, e last but non least gli onnipotenti membri della Hollywood Foreign Press, non profit che gestisce i Golden Globes, spesso vituperata, ma sempre più ricca dopo il nuovo contratto firmato con la “vecchia” NBC per i diritti televisivi del premio più noto dopo gli Oscar.
Forse per la presenza di invitati dove gli under 30 si contavano su una mano e dove l’olezzo di profumi antichi di anziane signore copriva i sapori dell’ottimo catering, su tutto aleggiava lo stesso senso cupo e di morte (oltre che di noia mortale per i poveri under 30) che percorre la pellicola Sunset Boulevard; l’atmosfera si è fatta quasi horror al momento dei ringraziamenti sotto un gigantesco ragno appollaiato su una parete (una scultura, naturalmente) di fronte al quale erano, oltre alla Lollo, un’altra leggenda (spenta, ma solare e sorridente), Claudia Cardinale, il padrone di casa ed altri notabili.
Il documentario dovrebbe ispirarsi a queste scene: un reality che descrive la bizzarra vita reale di una ex star, possibilissimo e fattibilissimo, se la Lollo recita sè stessa: allora il successo sarà assicurato.
Altrimenti, si ci troverà di fronte alla solita storia italiana inguardabile per gli americani, che hanno bisogno di azione e controversie continue in un documentario come nella più banale sceneggiatura: che come consolazione prenderà qualche premio in un festival nostrano e, invece di Sunset Boulevard, si parlerà della Camilluccia Boulevard.
Welcome to L.A. Signorina Lollobrigida, dove anche una novantenne può provare a reinventarsi.