Hollywood Politicamente Corretto Party

La stagione dei party delle Feste (non Natalizi per carità del politically correct) volge al termine, ma ai tempi del metoo, non sono certo le feste di Hollywood Party, pellicola storica di Blake Edwards con Peter Sellers che ha compiuto cinquant’anni, ma che mostra un mondo tanto esagerato quanto sicuramente più divertente di quello di oggi.

Il Christmas Party a L.A. o New York non esiste da decenni (per rispetto di tutte le religioni e pseudotali che da sole fanno quasi maggioranza), ma solo Holiday Party. . Eppure, anche la parola “Holiday” sembra destinata a soccombere (per rispetto di chi lavora comunque nel period natalizio?) attraverso una serie di escamotage quali l’uso delle parole “Celebrate'“ (omettendo la ragione di tale festeggiamento per rispetto di chi festeggia per ragioni diverse), o ammiccamenti più sfumati al Natale tipo “It is the season” da “it is the season to be jolly”, dove jolly è troppo natalizio.

Stabilito che il party prima di Natale è per qualcosa che non si può dire, in questo 2018 tutti, dai grandi studios all’ultima sgangherata società di post produzione, sono accomunati da una preoccupazione: evitare denunce per molestie o peggio.. Quindi, i più rigidi (anche per essere sempre concentrati sui guai dei loro clienti) sono stati gli studi legali di entertainment che in molti casi hanno bandito l’alcol e ripiegato su lunch a mezzodì dove la gente si presenta tra una conference call e l’altra, e dove vige il principio del self service alla scrivania.

Gli Studios fanno party al loro interno, ma anche qui regole rigidissime, nessun ospite esterno e soprattutto alcol con il contagocce; ricordiamoci che gli americani, come i nord europei, hanno bisogno di bere per carburare, divertirsi e spesso crollare dopo poche ore. Con un’eccezione: uno dei grandi Studios ha abolito ogni regola, in modo da poter furbescamente sostenere se qualcuno dicesse che le regole non sono state rispettate, che non si poteva violare nulla.

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Un po’ meglio sono le feste delle grandi agenzie di talent (Creative Artist, William Morris, United Talent, per nominare l’Olimpo), dove invece l’alcol scorre a fiumi e dove gli agenti ed i loro “assistenti-servi della gleba” (anche se spesso con la laurea di Harvard) bevono enormi quantità di acqua minerale frizzante, perché quella liscia serve per accompagnare l’ecstasy quindi meglio evitare malintesi, e si considerano tanto al lavoro quanto lo sono quando sbraitano al telefono in auto nelle interminabili code a Beverly Hills, o in meeting senza fine nelle cosidette “sale acquario”, cioé le sale riunioni con enormi vetrate che rendono visibili tanto l’inevitabile panorama mozzafiato, come le scenate dei partecipanti alle riunioni. Gli esterni ammessi in questi party sono pochi, e spesso al di la’ del rimpinzarsi dell’ottimo catering vi è poco da fare perché il talent fa sempre la solita domanda “con chi lavori”, e anche se la risposta deve essere “segreto professionale di agente”, tanto basta per capire se l’interlocutore può fare alcunchè per la giovane promessa artistica..

Ma allora dove si ci diverte davvero? Come nel film di Blake Edwards solo nelle feste private dei rappers (ed infatti l’acqua minerale naturale scorre a fiumi), anche se va segnalato un party sia divertente che bizzarro dove ha presenziato Hollywoodlander, quello di un gruppo di chirurghi plastici a Beverly Hills. Invece del solito “what do you do” degli studios (per sapere se la persona è importante nella gerarchia) la domanda più frequente era ”what did you do” (cosa ti sei fatto fare), con tanto di Ipad in punti strategici che permettevano agli ospiti di visionare foto “prima e dopo” tra un bicchiere di champagne e l’altro, e dove gli invitati potevano approffittare dell’Holiday Discount.

Nessun Christmas Discount nel nome del politically correct, naturalmente.

Duccio Mortillaro