Va all’asta quel che resta di Hef
Tra venerdì 30 novembre e sabato 1 dicembre la Juliens, casa d’aste di Beverly Hills specializzata in oggetti dello show biz, metterà in vendita molti degli effetti personali di Hugh Hefner il fondatore di Playboy scomparso ormai da un anno.
La leggendaria Playboy Mansion (non più teatro di feste che fino all’inizio degli ottanta spesso si trasformavano in orge) è stata già venduta a un centimilionario del junk food per oltre 100 milioni di dollari, compresi terreni adiacenti, zoo poi smantellato, e dependance dove le playmate vivevano segregate e con orari militari per soddisfare un uomo che da ormai anni era l’ombra della caricatura di se stesso.
La speranza delle ragazze (anni fa dell’America profonda, oggi dell’Est Europa extra comunitario) di diventare famose non si è mai spenta a conferma di quale che diceva Weinstein a chi lo rifiutava: “ti rendi conto di quante vorrebbero essere al tuo posto?”
Questo weekend tocca dunque agli oggetti personali di Hef, alcuni interessanti (la pipa o la famosa giacca da camera arriveranno a ventimila dollari, si dice) altri chiaramente trovati nella Mansion probabilmente sconosciuti persino al proprietario (il poster di un reality show degli anni 2000). Tutti tristi ricordi di un uomo geniale nella prima parte della sua vita: dal 1949 ai primi anni Sessanta ha mostrato al mondo il volto lascivo e sessista dell’America, e le sue contraddizioni ben nascoste dalla facciata puritana anglosassone; poi sempre più trascinato verso la volgarità triste e ripetitiva della pornografia; fino alla sua sconfitta il giorno che è nato internet.
Una sconfitta che è stata in realtà una lunga agonia come si intravede nelle foto di vestiti usati di moda negli anni Settanta, nelle scarpe scalcagnate, o nell’orologio con la scritta “time to fuck” sul quadrante. Immagine dei tempi in cui anche le cameriere dei bar di LA si vantavano di serate con partner multipli nella famosa grotta della piscina in stile “laguna blu”.
Rimane poco o nulla di quello che invece la rivista ha lasciato quando Hef era davvero potente: la difesa della libertà di stampa ed espressione, e la prova del perfetto funzionamento del sistema americano secondo cui quella libertà protegge i più dalle limitazioni imposte dallo Stato.
Di questo principio difeso da Hef rimangono solo dieci parole nascoste tra centinaia di lotti noiosi e piatti come era diventato Playboy costretto, alla fine, ad abbandonare i nudi per differenziarsi dai concorrenti via internet sempre più spinti.
L’incasso della mesta asta sarà devoluto a una fondazione non profit che difende l’emendamento costituzionale sulla libertà di espressione: in nome dello stesso Hef.
Nell’America di oggi si incrociano un presidente che ammira il “liberale” Putin, ma che allo stesso tempo era frequentatore ed utilizzatore (non finale) delle feste di uno dei più accesi liberal di Hollywood. Quel liberal che mostra il volto del cambiamento dell’America nella galleria nelle foto sui suoi passaporti (anche quelli in vendita in nome della libertà di espressione).
Negli anni Settanta ha i capelli lunghi alla moda, il sorriso di chi si crogiola nella sua potenza, nella notorietà e, perché no, nell’invidia di milioni di uomini, e nel desiderio (che importa se è per ragioni sbagliate) delle donne; negli anni 2000 non è un affascinante signore, ma un vecchietto spento da crociera di pensionati con un’espressione che ricorda un clown dal ghigno satanico.